Libri & Arti
belisariorighi scrittore fotografo critico d'arte
Belisario Righi
Perugia - Italia
belisario.righi@gmail.com
Come leggere, scrivere, far critica
di BELISARIO RIGHI
Da I SAGGI di Michel de Montaigne - Libro II, capitolo X
Non metto affatto in dubbio che mi accada spesso di parlare di cose che sono trattate meglio dai maestri del mestiere, e con più verità.
Questo è soltanto il saggio delle mie facoltà naturali, e in nessun modo di quelle acquisite; e chi mi taccerà d’ignoranza non mi farà torto, poiché a fatica risponderei dei miei ragionamenti ad altri, io che non ne rispondo a me stesso, e non ne sono soddisfatto. Chi va in cerca di scienza, la vada a pescare dove si trova: non c’è nulla di cui io faccia meno professione. Queste sono le mie fantasie, con le quali non cerco affatto di far conoscere le cose, ma me stesso: esse mi saranno forse note un giorno, o lo sono state un tempo, secondo che il caso ha potuto condurmi su quei passi dove erano spiegate. Ma non me ne ricordo più. E se sono uno che qualcosa legge, sono anche uno che nulla ritiene. Così non garantisco alcuna certezza, se non di far conoscere fino a che punto arriva, per il momento, la conoscenza che ne ho io.
Non si badi agli argomenti, ma al modo come li tratto. Si veda, in ciò che prendo a prestito, se ho saputo scegliere di che dar lustro al mio discorso. Poiché faccio dire agli altri quello che non posso dire altrettanto bene, sia per insufficienza di linguaggio, sia per insufficienza di senno. Non conto i miei prestiti, li soppeso. E se avessi voluto farli valere per il numero me ne sarei caricato due volte tanto. Sono tutti, o poco ci manca, di nomi tanto famosi e antichi che mi sembra si raccomandino abbastanza senza di me.
Dei ragionamenti e delle idee che trapianto sul mio terreno e confondo ai miei a volte ho omesso appositamente di indicare l’autore, per tenere a freno la temerità di quei giudizi affrettati che si danno di ogni sorta di scritti: particolarmente scritti giovanili di uomini ancora viventi, e in lingua volgare, cosa che permette a tutti di parlarne e che sembra accusarne di volgarità anche il concetto e il disegno. Voglio che diano un buffetto a Plutarco sul naso mio, e che si accalorino a ingiuriare Seneca in me. Bisogna che nasconda la mia debolezza sotto quelle grandi autorità. Vorrei che qualcuno sapesse strapparmi le penne non mie. Ma intendo con chiarezza di giudizio e solamente distinguendo la forza e la bellezza dell’argomentare.
Poiché io, che per mancanza di memoria mi trovo ogni momento nell’impossibilità di distinguerli secondo la loro origine, so rendermi conto benissimo, misurando la mia forza, che il mio terreno non è in alcun modo capace di produrre certi fiori troppo splendidi che vi trovo disseminati, e che tutti i frutti del mio orto non potrebbero controbilanciarli.
Di questo sono tenuto a rispondere, se mi areno da solo, se nei miei ragionamenti c’è della vanità e del vizio che io non avverta affatto o che non sia capace di avvertire se me lo fanno presente. Infatti alcuni difetti spesso sfuggono ai nostri occhi, ma la malattia del giudizio consiste nel non poter rendercene conto quando un altro ce li fa notare.
La scienza e la verità possono albergare in noi senza il giudizio, e il giudizio può parimenti trovarvisi senza di esse; anzi, il riconoscimento dell’ignoranza è una delle più belle e più sicure prove di giudizio che io conosca. Non ho altro sergente di truppa per schierare i miei pezzi, se non il caso. Via via che le mie fantasticherie mi si presentano, le accumulo: a volte si accalcano in folla, a volte si trascinano in fila. Voglio che si veda la mia andatura normale e consueta, irregolare com’è. Mi lascio andare come sono.
Così qui non ci sono argomenti che non sia permesso ignorare, e di cui non si possa parlare a caso e senza preparazione. Desidererei certo avere una più perfetta intelligenza delle cose, ma non voglio acquistarla al caro prezzo che costa. Il mio proposito è di trascorrere tranquillamente, e non faticosamente, quello che mi resta di vita. Non c’è nulla per cui io voglia rompermi la testa, non certo per la scienza, per quanto grande ne sia il pregio. Nei libri cerco solo di procurarmi un po’ di piacere con un onesto passatempo; o se studio, vi cerco solo la scienza che tratti della conoscenza di me stesso e che mi insegni a morir bene e a viver bene.
Le difficoltà, se ne incontro leggendo, non sto lì a logorarmici. Le lascio andare, dopo essermici scontrato una volta o due. Se mi ci intestassi, mi ci perderei, e ci perderei tempo: poiché ho uno spirito che giudica a prima vista. Quello che non vedo alla prima, lo vedo ancora meno se mi ci ostino. Non faccio niente senza slancio. E il perdurare di uno sforzo troppo teso offusca il mio giudizio, lo contrista e lo fiacca. La vista mi si confonde e vi si sperde. Bisogna che ve la distolga e ve la riporti a intervalli.
Come per giudicare lo splendore dello scarlatto ci si consiglia di gettarvi sopra gli occhi, scorrendolo diverse volte, a rapide e reiterate riprese.
Se questo libro m’infastidisce, ne prendo un altro; e mi ci applico solo in quei momenti in cui la noia del non far niente comincia a prendermi.