Libri & Arti
belisariorighi scrittore fotografo critico d'arte
Belisario Righi
Perugia - Italia
belisario.righi@gmail.com
UMANO, POCO UMANO
Meditazioni, Riflessioni, Racconti
Belisario Righi
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PREFAZIONE DELL’AUTORE
Con il termine pensiero si classificano diversi tipi di processi psichici. Il pensiero è la facoltà di formare contenuti mentali, è un atto della ragione, la facoltà mnemonica o immaginativa o semplicemente la riflessione o il giudizio su fatti ed episodi appartenenti alla vita, sia nostra che degli altri. Spesse volte il pensiero si muta in elucubrazione, operazione cervellotica condotta con impegno paziente e meditativo che di per sé non porta al alcun risultato realizzativo, restando un semplice atto di onanismo mentale dal quale però possono nascere profonde ed illuminanti considerazioni. Un pensiero può nascere da una congettura precisa, però quasi sempre emerge dalla poltiglia elucubrativa che un’intuizione provoca nella nostra mente e da questo profluvio prendono forma le nostre idee più potenti, più inconsce che rivelano verità sconosciute. Un pensiero può essere brevissimo, oppure richiedere molto tempo per essere elaborato e portare ad una soluzione compiuta e definita della causa che lo ha innescato. L’elucubrazione invece, per sua natura, come un magma vulcanico che trascina con sé qualunque cosa incontri sul suo cammino, avviluppa ogni idea, ogni spunto riflessivo che si affaccia alla nostra mente. Quando si elabora un pensiero è come immergersi in un lago, circoscritto entro precisi limiti, mentre quando si è preda di una elucubrazione ci s’immerge nel mare che non ha confini. Dentro di noi vi sono pensieri, immagini, emozioni che vivono assopiti, nelle profondità dell’animo e non affiorano alla superficie, nascosti dietro la maschera della nostra esistenza, difficili da esprimere in maniera compiuta con una sintesi di parole, ma esistono e quando riusciamo ad esternarli ci offrono l’unica verità accettabile. La molteplicità dei pensieri e degli stati d'animo che si agita nel nostro subcosciente è tale da indurci a riflessioni che sopravanzano la situazione momentanea e si collocano in una posizione critica dei fatti, svincolata dalla realtà e ascrivibile alla complessità della nostra cultura. L'insieme delle nozioni assimilate nel corso della vita ci motiva a dare, delle apparenze fenomeniche, un'interpretazione che deve prescindere da esse e da ricercarsi invece mediante un'analisi più profonda della conoscenza. Guardare oltre ciò che appare è la conseguenza naturale di tale condizione. Nascono così pensieri e considerazioni che possono sembrare non attinenti al caso specifico, perché rientrano in una logica di più ampia dialettica. In questa modesta raccolta vi sono meditazioni, riflessioni e racconti che non hanno l’ardire di essere dei grandi lavori letterari. Sono sostanzialmente dei pensieri che si riferiscono al vissuto, a volta espressi in poche righe e allora assumono l’aspetto di semplici riflessioni, altre volte sono elaborati in una storia e diventano racconti, ma restano sempre dei pensieri, perché il pensiero è sempre e comunque la piattaforma su cui si costruisce un ragionamento.
UMANO, POCO UMANO
CRESCERE
Nel corso dell'esistenza ci sono momenti importanti che rappresentano delle pietre miliari nel cammino della vita, spesso non avvertiti dall'animo, ma che attendono a profonde modificazioni del nostro intelletto e determinano fasi ben precise del vivere. Da giovani si sogna e il sogno ci accompagna per molti anni, creando visioni ottimistiche e pregne di ogni possibilità. A queste visioni affidiamo il nostro futuro e di esse ci nutriamo quotidianamente, ritenendole assolutamente realizzabili. Non ne ravvisiamo difficoltà di attuazione, tanto meno viene meno la nostra sicurezza di poterle realizzare. Ci sentiamo onnipotenti e pensiamo che il mondo debba piegarsi e genuflettersi ai nostri piedi, al nostro volere. Una volontà di onnipotenza ci domina e il più piccolo dubbio sulla realizzazione dei nostri sogni nemmeno ci sfiora. Siamo sicuri di noi stessi e con questa certezza ci avvicendiamo sulla strada del nostro futuro. A nulla valgono gli insegnamenti di chi, più vecchio ed esperto di noi, ci redarguisce sugli ostacoli che incontreremo per rendere concreti i nostri desideri. Non ci interessa quello che ci viene detto, né crediamo nelle difficoltà che ci vengono enunciate. Siamo sicuri, arroganti e prepotenti. Siamo intrepidi e volitivi. Ci sentiamo troppo forti rispetto a queste persone che consideriamo deboli, mostrandoci ostacoli che per noi rappresentano solo l'incapacità di chi ci ha preceduto. Noi no! Noi non siamo incapaci. Noi siamo bravi. Noi abbiamo capito tutto e le chiacchiere degli altri che hanno fallito non ci interessano. Noi siamo concreti e pragmatici. Noi sappiamo bene come gestire la nostra vita e niente ci spaventa. Beata gioventù! E' stato bello viverla e bersela in un sorso, come fosse Coca Cola, e mentre la gustavamo ci sentivamo rinfrescati dalla calura della vita, non tenendo in alcun conto che stavamo attraversando un deserto di milioni di chilometri quadrati e attingevamo da una piccola borraccia che presto svuotata, saremmo stati costretti a modificare, a ridimensionare le nostre aspettative. Quando questo accadde eravamo ormai arrivati alla fine della giovinezza, ma ancora prestanti e perennemente investiti della nostra irreale immortalità ci incamminammo verso la maturità, però sommessamente ad alcuni sogni si sostituirono degli incubi che la notte spesso ci impedivano di dormire, perché la meta agognata sembrava più lontana, molto più lontana di quanto avessimo pensato. Eravamo diventati grandi ed i nostri piccoli, infantili e beati sogni di bimbo si volatilizzarono, si immolarono alla vita e soprattutto alle sue necessità che prepotentemente bussavano alle porte della contingenza. Contingenza! Parola triviale evocante fatica, bisogno, dolore. Ne prendemmo coscienza e iniziammo a intravedere, nel novero delle possibilità, più impedimenti di quanti ne avessimo potuto immaginare. Ci fermammo per un istante a riflettere su questa nuova condizione e constatammo quanto fosse crudamente reale. In poco tempo svanirono illusioni e sogni e non guardammo più avanti a noi con gli occhi della fiducia. In noi si spense la meravigliosa possibilità dell'irrealizzabile e fummo costretti a confrontarci con la bieca e vile realtà che non aveva più in sé le certezze di un avvenire magnifico e lucente. I fuochi d'artificio che inizialmente avevano illuminato le nostre notti furono sostituiti da fioche candele che, alla loro tremolante luce, ci mostrarono un cammino arduo e pericoloso, nel quale ci stavamo addentrando. Eravamo diventati uomini!
AMA IL TUO PROSSIMO!
Spesso mi soffermo a pensare ai miei trascorsi, alla mia vita fuggita come una meteora e prendo in esame quelli che ritengo i punti salienti della mia esistenza, quelli che, in qualche modo, hanno avuto un valore significativo sulle scelte fatte e sulle decisioni che ho dovuto prendere, ma in questo coacervo di rimembranze, una più di tutte catalizza il mio interesse, una in particolare mi si presenta come determinante: la fiducia nel prossimo, o meglio, il credere nel Prossimo. Prossimo, dal latino proximus, significa vicino, vicino a noi. Il nostro Prossimo è chi ci sta intorno, chi partecipa con noi al compiersi della nostra esistenza. Prossimo può essere un parente, un consanguineo, ma anche un conoscente, una qualunque persona che condivide con noi gli atti significativi della nostra vita. In senso lato, Prossimo è anche l’africano che muore di fame e di sete, il senzatetto che affronta la sua vita senza una casa e soprattutto senza un affetto, l’altra faccia della nostra esistenza e condizione sociale, ma poiché noi siamo esseri limitati e poco aperti al concetto di appartenenza, nella realtà, diremo che il nostro Prossimo è chi ci sta accanto, chi vive nella nostra sfera esistenziale. Come cristiano cattolico, ho sempre pensato che l’interpretazione di determinati fatti sia univoca, arrogandomi la presunzione che tutti la pensino come me, invece ho dovuto scoprire, con infinita tristezza, che spesso le mie idee non erano altrettanto condivise e questo perché la gente in genere non perora, come dovrebbe, cause universali, ma si occupa solamente di azioni e assunti che la riguardano e di questi offre interpretazioni del tutto soggettive ed egoistiche, misconoscendo appieno le istanze sodali. Prossimo dovrebbe significare anche sodalizio, con gli altri, con le persone vicine e invece troppo spesso è una parola vuota che non significa niente e si svilisce il suo significato nel giudicare con supponenza e alterigia le azioni del cosiddetto Prossimo, nonché becera critica dei suoi assunti comportamentali. Ma se la critica è dialettica, può anche andare bene, purtroppo quasi sempre si tratta di critica preconfezionata, definita nei concetti personali, e non ammette cause di appello. E allora il Prossimo si trova sul banco degli imputati, solo, senza arringhe difensive, soggetto al giudizio ottuso e cattivo degli altri, privo della possibilità di difendersi da arroganti considerazioni, in un diktat dogmatico che determina le regole del vivere, in ossequio ad una presunta conoscenza della vita reclamata da chi giudica, acquisita non dall’esperienza, tantomeno dalla frequentazione con i propri simili, ma discesa in retaggio da una cultura retrograda e antiprogressista, dove il padrone di casa è, come sempre è stato, l’ignoranza. L’ignoranza quando è accompagnata dalla voglia di imparare e di migliorarsi è cosa buona e propedeutica per il raggiungimento di una conoscenza superiore, ma quando è avulsa da questa volontà o peggio, quando non è soggetta ad autocritica ed è totalmente disconoscente dei propri limiti culturali, diventa arroganza, il gradino più vicino alla prevaricazione e quindi alla prepotenza. Schopenhauer dice che il prepotente ha sempre ragione. E’ vero, perché nel mondo del prepotente, non esiste altra verità che non la sua, ma il filosofo aveva ragione considerando il prepotente un essere umano dotato di intelligenza, però io non lo considero tale. Per quanto mi riguarda, questo essere, che definisco ignorante, è solo una nullità, cui non potrò mai concedere di condizionare la mia vita perché, reputandosi intelligente, si rivolge alla società ritenendola un’accolita di imbecilli. Crede di essere furbo e dialoga con persone che sulla furbizia hanno fondato la loro triste vita, non sapendo che la furbizia disgiunta dalla consapevolezza conduce solamente alla rovina della propria esistenza, perché nel mondo c’è sempre qualcuno più scaltro cui si deve rendere conto. Purtroppo, comportandosi così inevitabilmente si finisce con l’essere insensibile ai problemi altrui. Una vita non si costruisce sull'astuzia, ma sulla consapevolezza dei propri limiti, cercando di oltrepassarli attraverso l’esperienza che discende dal vissuto, ponendosi traguardi che diverranno raggiungibili, percorrendo le strade della vita, senza mai calpestare i diritti, non ritenuti condivisibili, degli altri. Ma infine, il Prossimo, questa indefinita, latente entità, chi è? Io sono il tuo Prossimo! Tu sei il mio Prossimo! Il Prossimo sono gli altri e in mezzo agli altri ci sei tu, ci sono io, ci siamo noi! Per questo dobbiamo amarlo, senza perdersi in critiche personali. Potremmo forse non amare noi stessi?
ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO
Quando Proust scrisse il suo capolavoro non sappiamo cosa avesse in mente, ma certamente possiamo supporre, dalla lettura dei suoi scritti, che intendesse ritrovare momenti perduti attraverso, odori, immagini e sensazioni che affiorano ai nostri sensi riportandoci al passato. Le sue stupende dissertazioni, dal sapore poetico e filosofico sul presente che torna dal passato, sono purtroppo anche realistiche, perché la nostra vita è tutta a ritroso nel tempo ed ogni attimo che viviamo è solo un'eco del nostro vissuto. Siamo immersi in un perenne ricordo, in una sequenza interminabile di fatti che costantemente allontana dal presente, riconducendoci ai nostri tempi remoti. Quando pensiamo a una cosa qualunque non teniamo conto del fatto che il nostro cervello impiegherà qualche nanosecondo ad elaborare i dati da cui nascerà il concetto, cosicché nella fattispecie trascorrerà un lasso infinitesimale di tempo perché il processo raziocinante sia totalmente sviluppato. Analogamente quando osserviamo il volto di una persona, l'immagine che nel nostro cervello si andrà a formare, per comporsi avrà bisogno che la sua luce arrivi ai nostri occhi. La luce viaggia a circa trecentomila chilometri al secondo, tanto che il chiarore della luna arriva a noi in un solo secondo e mezzo e la fiamma del sole dopo otto secondi. Di concerto il viso che stiamo osservando ci arriverà dopo qualche miliardesimo di secondo, e quindi la persona che vedremo, dall’istante in cui l'abbiamo guardata, anche se non lo possiamo notare, è già invecchiata, perché le modificazioni genetiche avvengono senza soluzione di continuità temporale. Davanti a noi non c'è più la persona cui abbiamo rivolto lo sguardo, ma un'altra con qualche impercettibile e inavvertibile differenza. L'immagine è già vecchia. Non conta di quanto lo sia, ma lo è. Se il futuro è una chimera, il presente è un'illusione, soltanto il passato è il vero artefice del nostro divenire e del nostro esistere.
LA STUPIDITA’
Mia madre ripeteva spesso: Attento alle persone stupide perché, anche senza volerlo, ti possono mettere nei guai solo perché sono stupide! Quando mi diceva questo sorridevo. Pensavo che le persone anziane siano afflitte da un pessimismo organogenetico e pertanto quello che dicono sia improntato a una considerazione negativa della vita che non dipende dalla loro concezione della vita stessa, ma piuttosto da una progressiva necrosi cerebrale che conduce inevitabilmente al pessimismo più sfrenato. Errore! Mia madre aveva ragione! Era la verità e non il decadimento organico. Se uno nasce stupido è un dato di fatto. Definito! La sua condizione prescinde da usure, di qualsiasi natura esse siano. Non c’è niente da fare. E’ nato stupido. C’è chi nasce biondo, chi bruno, chi alto, chi basso. Lo stupido è nato stupido. Non c’è da dire altro. Lo stupido è pericoloso! Molto pericoloso! Nella sua stupidità non riesce a discernere tra quello che può rappresentare un vero, effettivo pericolo e ciò che potrebbe essere una facezia. Egli vede tutto in termini di una logica da lui elaborata che non tiene in alcuna considerazione le istanze del suo prossimo e da arrogante demiurgo decreta, giudica, sancisce cosa attenga al giusto e cosa sia invece deprecabile e inopportuno. Purtroppo, nella sua naturale condizione non è assolutamente in grado di discernere tra il conveniente e lo sconveniente, e chiunque sia oggetto di una sua considerazione ne sarà quasi sicuramente danneggiato. E tutto questo perché? Perché è stupido! Ma noi come dobbiamo nuotare in questo mare magnum di stupidità, dove ogni cosa sembra sia improntata alla faciloneria, al pressappochismo. Qual è il nostro ruolo? Cosa dobbiamo fare per liberarci dai tanti falsi amici e finti guru, saprofiti della nostra spiritualità, che intendono condizionare la nostra vita? In che modo ci dobbiamo comportare, una volta che questi esseri si siano rivelati tali? Forse si dovrebbe mandarli a quel paese, ma noi non vogliamo essere così prosaici, anche se dobbiamo allontanarci da questi figuri che, in osservanza ad una dichiarata amicizia, ci rendono la vita impossibile e piena di negatività. Detto questo, allora da dove nasce una spaghettata consumata, alle tre del mattino, a Roma, su di un muretto ai bordi di Corso Francia? Nasce da una profonda amicizia che trascende le convenienze sociali e si eleva a un assunto di più assoluta complicità proveniente dal rispetto reciproco e si immola alla ricerca del piacere delle piccole cose della vita, sì da rappresentare un semplice divertissement e niente di più. Le cose belle sono sempre le più semplici, le più naturali. E molto naturale sembrava, a me e al mio amico Gianfranco, gustare un piatto di spaghetti a notte fonda, seduti sopra un muretto alle prime ore del mattino e si badi bene, non si mangiava su piatti di plastica e posate improvvisate. No! Noi consumavamo il nostro estemporaneo spuntino su piatti di porcellana, con forchette d’argento 800 del servizio di famiglia e si beveva champagne su coppe di cristallo mentre le automobili sfrecciavano davanti a noi. Eravamo stupidi? No, eravamo amici, nella realtà e nell’irrealtà, nel certo e nell’improbabile. Eravamo amici, soprattutto amanti della vita. In un triste giorno, tanti anni dopo la spaghettata di Corso Francia, Gianfranco mi disse di essere gravemente malato. Un cancro al fegato. Sì cancro, proprio cancro! Si ha paura a pronunciare questa parola, ma il non nominarla, non ne allontana la funesta presenza e il mio amico, quel giorno, non ebbe timore di dirla. Era afflitto da un tumore, ormai a uno stadio avanzato, ma questo non modificò i nostri rapporti, sempre improntati alla gioia di vivere e al gusto frenetico e scanzonato della vita. Fu quella, l’unica volta che si parlò del suo male. Anche in seguito, quando il suo stato di salute peggiorò, si evitò sempre di fare cenno alla sua infausta condizione. Fu sua figlia, qualche tempo dopo, a dirmi che se n’era andato. Si dice che si muoia due volte. La prima, quando si smette di respirare, la seconda, quando nessuno pronuncia più il nostro nome. Da quel momento, si è inghiottiti dall’eternità. La scomparsa di una persona cara rappresenta non soltanto la fine di un sodalizio sentimentale, ma anche una voce che non ci chiamerà più, però il mio amico, almeno per me, è ancora vivo, perché nei miei pensieri spesso riecheggia il suo nome. Quanta e quale differenza c’è stata nel suo comportamento da quelle persone che ci amareggiano l'esistenza, definendosi infelici, depresse, afflitte dal taedium vitae, ma che in realtà sono soltanto fuori posto, in un mondo che non ama i lagnosi. Sono semplicemente stupidi! In ultima analisi, forse la spaghettata di Corso Francia nacque da una posizione intelligente nei confronti della vita, mentre certe depressioni, spesso nascono dalla stupidità.
C’E’ LA MORTE?
Negli anni giovanili quando apprendevo della dipartita di qualcuno, la cui esistenza era a me nota o per frequentazioni personali o semplicemente attraverso le cronache giornalistiche, sebbene provassi del dispiacimento per la triste sorte del defunto, restavo del tutto indifferente di fronte alla morte, come se essa non fosse di mia pertinenza. Vivevo il concetto di morte con distacco, quasi non la ritenessi deputata a scandire e definire il ritmo della mia vita. Lei non era in me. Un senso di assurda ed incomprensibile eternità mi pervadeva. Guardando al futuro che si proiettava nella mia immaginazione non vedevo niente che mi facesse pensare ad un epilogo. I miei programmi futuri si snodavano nella mia fantasia ininterrottamente come grani di un interminabile rosario. La maturità non ha portato sensibili cambiamenti a questa mia filosofia e la morte per lungo tempo, ha continuato ad essere assente dai miei progetti terreni. Con l’incipiente vecchiaia le cose sono cambiate, ma non radicalmente. Se oggi vengo a conoscenza della scomparsa di qualcuno, dopo un normale e doveroso pensiero di lutto rifletto per un momento, ma solo per un momento su questo ultimo atto della nostra esistenza terrena e mi domando quando toccherà a me, però poi, con irriverente incuria ed irriguardoso menefreghismo verso l’ineluttabile riprendo a vivere nella mia virtuale eternità. Che risponda a verità il sofisma epicureo secondo cui la morte non esiste?
LA LOTTA TRA IL BENE E IL MALE
Chissà perché tutti i momenti di tenerezza, di gioia, di profonda riflessione spesso si mutano in situazioni di dolore e di delusione, come se ciò che scatena emorragie esistenziali risieda nella negatività, almeno apparente, dei fatti contingenti. L'amicizia, l'amore, l'affetto sono meteore che illuminano la vita per pochi istanti per poi farla ripiombare nel buio. La vita, pur perennemente offuscata dall'incomunicabilità, non impedisce di dialogare con gli elementi naturali e permette, negli occhi di una persona, di trovare le risposte necessarie ai perché del mondo, ma nonostante questo il nostro intelletto è cieco verso quella direzione. Sarebbe auspicabile vivere serenamente e fuggire situazioni incontrollabili che conducono su strade impervie ove non v’è possibilità di ritorno, senza annientarci, perché se un giorno questa terra continuasse vuota a galleggiare nello spazio saprebbe comunque dove andare e liberatasi di noi ci arriverebbe sicuramente meglio, mentre noi saremmo spazzati via dall’eternità. Nel flusso del tempo le nostre cellule, forse potrebbero unirsi a quelle di Beethoven, di Cartesio e di Cicerone, ma né la genialità, né il razionalismo, tanto meno la dialettica ci salveranno dalla mediocrità se non avremo raggiunto un fine catartico. La lotta resta sempre la medesima: la lotta tra il bene e il male o più precisamente tra i concetti di bene e di male, ma identificare tutto nell'idealizzazione del concetto è banale e anche strumentalizzante. Il regista, visionario e geniale provocatore, Ken Russell allestì la Bohème di Puccini facendo morire la dolce Mimì di overdose. I tempi incalzano e di tisi non si muore più, ma di eroina sì. Dissacrazione? No! Solo evoluzione del concetto di male. Il bene incarna tutti i concetti di positività, come il bello, il giusto, il corretto, il vero e quant’altro, mentre l’antitesi di questi è confinata nel male. Troppo spesso gli eventi storici ci hanno portato a conclusioni generate più dal concetto ideologico dei fatti, che non dalla loro intrinseca valenza. Anni addietro tre studenti di Livorno dissero di aver trovato una testa scolpita da Amedeo Modigliani nei Fossi Medicei, dove, inseguendo una leggenda, si stava cercando da giorni opere che l’artista vi aveva gettato perché giudicate non buone. Il mondo parlò dell’evento e, sebbene vi fossero alcuni critici d’arte dubbiosi, la scultura fu accreditata a Modigliani. In seguito, i ragazzi spontaneamente confessarono di avere realizzato la testa per scherzo, per burlarsi dell’onniscienza dei critici d’arte. L’episodio è da considerarsi come rientrante nell’ambito del bene o in quello del male? E’ certamente ingiusto e scorretto, prendersi gioco degli altri, ma quando gli altri rappresentano l’establishment mondiale della cultura, nel quale gravitano i più insigni e dotti intellettuali e da costoro discendono accondiscendenza e legittimazione, allora il discorso diventa spinoso e non si sa più quale sia il bene e quale sia il male. Se si è dileggiata soltanto gente semplice è male, ma se si è smascherata l’arroganza dei baroni della cultura allora è bene. Del resto se Modigliani ha stupito il mondo con le sue opere, i tre studenti livornesi, non hanno fatto altrettanto sbeffeggiando i falsi sacerdoti del sapere? Con la stessa apertura mentale, perché Mimì non dovrebbe morire di droga? La risposta è che i concetti di giusto ed ingiusto, di bene e di male, sono relativi e soprattutto soggettivi, mentre la loro disamina e le diatribe che da essa scaturiscono sono il motore del nostro intelletto, l’unica vera differenza esistente tra noi e gli animali.