Libri & Arti
belisariorighi scrittore fotografo critico d'arte
Belisario Righi
Perugia - Italia
belisario.righi@gmail.com
OPERAZIONE WAINSCOTT
Belisario Righi
Romanzo
* * *
KORA MACHADO - ANDREW TUCKER
Inconciliabili divergenze e disappunti con il Presidente Fidel Castro, indussero il generale Alfonso Ricardo Machado a fuggire da Cuba e a chiedere asilo agli Stati Uniti. Reclutato dal servizio di controspionaggio statunitense in qualità di consulente, ottenuta la cittadinanza americana, sposò Victoria Phillips, dipendente della CIA, che l’aveva seguito nella pratica di richiesta di asilo. Andò a vivere a Miami nella casa della moglie. Dalla loro unione nacque Kora. Non ebbero altri figli. Uomo d’armi, Machado insegnò alla figlia, sin da bambina, ad usare la sua pistola, una Colt 1911 e le impose di conoscerne ogni piccolo dettaglio, facendogliela smontare e rimontare in continuazione ad occhi bendati. Kora dopo aver imparato a compensare con una perfetta postura il forte rinculo dell’automatica, si destreggiava con l’arma con la disinvoltura di un militare veterano, acquisendo anche una formidabile mira. A soli dieci anni sparava perfettamente, centrava una lattina di Coca Cola a quaranta metri. Il padre negli Stati Uniti trovò la più esatta rispondenza ai suoi ideali di democrazia e di libertà. Kora crebbe con le medesime convinzioni e terminato il college, a ventidue anni, fece domanda per entrare in Polizia. La signora Phillips non fu troppa contenta che la figlia abbracciasse quella carriera, suo padre invece condivise con orgoglio la sua scelta. Superato l’esame di ammissione a pieni voti, iniziò a lavorare negli uffici dell’Amministrazione. Dotata di spirito combattivo, con carattere volitivo alimentato dall’irrequietezza dei suoi giovani anni, attendeva con ansia di terminare il tirocinio di noviziato per poi passare ad incarichi di tipo operativo. Sentiva in sé la necessità fisica di esprimersi in ruoli di azione e per questo scopo si allenava senza sosta nell’uso delle armi. Trascorreva gran parte del suo tempo libero al poligono di tiro, studiando la tecnica dei suoi più anziani ed esperti colleghi. Osservava ogni loro mossa, ogni loro atteggiamento. Si concentrava soprattutto su quei tiratori che non svuotavano interi caricatori sullo stesso bersaglio, per non sprecare colpi inutilmente. Comprese da subito che in azione risparmiare colpi può rappresentare la salvezza e aveva altresì capito che centrare oggetti fermi serve a poco. Cominciò pertanto a esercitarsi su bersagli mobili. Una sezione del poligono era dedicata a questo scopo. In un’area apposita era ricostruito un angolo di città con palazzi e vie disseminate di sagome che apparivano all’improvviso, secondo un programma computerizzato che, con diversi livelli di difficoltà, di volta in volta ne cambiava posizione e numero. Non erano molti i militari che vi si cimentavano. Un alto graduato spesso era presente in qualità di osservatore, ma talvolta anche lui partecipava alle esercitazioni. Era bravissimo, il migliore di tutti, il più freddo, l’unico che non sparava mai più del dovuto, era il solo a concedersi qualche istante di riflessione prima di fare fuoco. Andrew Tucker, questo il nome del graduato, sembrava avere a disposizione, più di ogni altro, un piccolo, infinitesimale, prezioso lasso di tempo che gli permetteva di osservare bene il bersaglio prima di far partire il colpo. Kora ne prese a studiare comportamenti e tempi, ma non aveva intuito che Tucker si esercitava affinché lei, osservandolo, imparasse a sparare. Per addestrarsi con bersagli mobili, essendo necessario prenotarsi per tempo, Tucker conosceva i giorni in cui lei si sarebbe recata al poligono e negli ultimi tempi il colonnello Andrew Tucker, ufficiale dell’Intelligence della Sezione Operativa, non mancava mai. Una mattina le fu comunicato che il colonnello voleva vederla. Rimase non poco meravigliata. Si sentiva irrequieta. Da quel colloquio poteva dipendere il suo avvenire e ne era consapevole. Tucker, noto per il suo pragmatismo, avvezzo ad agire con determinazione, non si sarebbe scomodato se non per un motivo importante. Il giorno dopo verso le ore 11.00 Kora sentì bussare alla porta dell’ufficio dove lavorava con un collega. All’apparire del graduato i due impiegati scattarono in piedi, mettendosi sull’attenti.
- Buongiorno! Sono il colonnello Andrew Tucker del SOC, di cui sono certo avrete sentito parlare. Sono qui per conferire con la signorina Machado, e vorrei (guardando l’impiegato) restassimo soli. Mettiti comoda, dobbiamo parlare. -
Kora si sedette. Si sentiva calma, lucida e la presenza del colonnello non le dava alcuna sensazione disagevole, anzi era euforica e, visto così da vicino, era proprio un bell’uomo.
- Ho seguito le tue esercitazioni con attenzione e ho notato in te due elementi che sono apprezzabili: la buona precisione di tiro e la freddezza con cui reagisci di fronte ai bersagli mobili. Due cose assolutamente importanti che ogni buon tiratore deve possedere entrambe. L’una senza l’altra non servono a niente. Prima di sparare, bisogna sempre sapere a chi si sta sparando. Sembra logico, eppure credimi, molti tiratori sono carenti di questa qualità, per cui anche se precisi e veloci sono inutilizzabili come agenti. -
La parola agente le provocò una lieve sudorazione e facendo l’impossibile per non tradire emozioni, continuò ad ascoltare il colonnello.
- Che tu abbia sentito parlare del SOC (Special Operative Core), ne sono certo, ma non sono altrettanto sicuro che tu sappia cosa rappresenti. Il SOC è un nucleo operativo speciale, con sede a Savannah, formato da agenti addestrati per contrastare atti criminali ad alto rischio, proteggendo l’integrità e la sicurezza del nostro Paese e dei nostri alleati, la cui destabilizzazione politica potrebbe compromettere equilibri internazionali di vitale importanza. In una parola d’effetto, presa a prestito dal cinema, i nostri agenti sono dei veri e propri 007, con l’unica differenza che noi agiamo sempre in gruppo e mai da soli, anche se la missione, per questioni logistiche, è affidata a un agente singolo, ma gli altri sono costantemente presenti dietro le quinte, perché noi non lasciamo niente al caso né all’improvvisazione. Studiamo la missione nei più piccoli particolari e pur se la parte di protagonista è affidata ad un solo agente, gli altri si occupano di tutti i dettagli, in maniera che, come in un puzzle, tutte le tessere s’incastrino al posto giusto. Con orgoglio, mi sento di dire che il SOC è la migliore di tutte le organizzazioni anticrimine degli Stati Uniti ed io sono il capo. -
Kora si aspettava qualcosa del genere, ma non di tale rilevanza. Adesso le sue mani erano veramente sudate e il cuore le batteva più velocemente del solito.
- Credo tu abbia capito. E’ mia intenzione arruolarti e fare di te un agente speciale. Se accetterai, dovrai fare un apprendistato che durerà quattro anni. Solo allora, sempre che ti dimostri all’altezza, diverrai un agente ed entrerai di diritto nel SOC. Questo è tutto, però prima di darmi la tua risposta rifletti bene su quanto ti ho detto e sappi sin da ora, anche se l’ho tralasciato, ma mi sembrava superfluo, che le missioni sono sempre ad alto rischio. Tra tre giorni tornerò qui e mi darai la tua risposta. Naturalmente nessuno dovrà mai sapere di questa conversazione qualunque sia la tua scelta, e se diverrai un agente tanto meno dovrai rivelare quale sia la tua vera attività. Quando dico nessuno, intendo nessuno, nemmeno i tuoi genitori. Metterli al corrente del tuo vero lavoro significherebbe solamente esporli a rischi inutili. Per questo ti saranno date adeguate coperture. -
Tucker la saluta e se ne va. I tre giorni che seguirono furono per Kora densi di riflessioni e di interrogativi. Non si attendeva un incarico così gravoso e l’inquietudine l’assalì spesso. Sapeva che un simile lavoro l’avrebbe privata di affetti, di punti di riferimento e le avrebbe condizionato tutta la vita futura. Il suo più grande desiderio, entrando in polizia, era di diventare agente effettivo, un detective, ma non aveva nemmeno lontanamente pensato di trasformarsi in una spia, però la determinazione e soprattutto l’ambizione di servire la società con un lavoro di così alto prestigio furono gli elementi determinanti che la indussero ad accettare e così quando Tucker, al termine prestabilito, si presentò all’ufficio per avere la risposta, questa fu affermativa. Il colonnello si congratulò con lei e la lasciò, dicendole che sarebbe stata contattata per iniziare l’apprendistato. Due soli giorni dopo, le venne comunicato d’essere stata trasferita d’ufficio nel reparto operativo della Polizia. L’incarico di facciata assegnatole era di fare da assistente ad un alto ufficiale che si occupava dei rapporti collaborativi tra il corpo di Polizia di Miami e i reparti militari della Georgia. L’alto ufficiale era naturalmente un uomo di Tucker e le ripetute trasferte a Savannah, sede del SOC, avrebbero egregiamente giustificato le assidue presenze di Kora in quella città, dove avrebbe atteso al suo addestramento, al termine del quale sarebbe entrata nei servizi speciali. Iniziò per lei un lungo periodo che sarebbe durato quattro anni, durante i quali avrebbe imparato a conoscere e ad usare ogni possibile arma. Fu addestrata nelle arti marziali, nell’uso del computer, studiò il russo e l’arabo. Le fu anche insegnato a comportarsi in maniera elegante e raffinata, sotto la guida della Signora Eunice Cooper, una signora di sessant’anni, appartenente ad una delle famiglie più altolocate degli Stati Uniti, la quale per esperienza e per la sua innata eleganza conosceva tutto quello che c’è da sapere sui comportamenti da adottare in società, la maestra ideale per trasformare una giovane donna in una vera signora. Kora, con volontà e dedizione incrollabili, si assoggettò umilmente a tutto quello che le venne imposto di fare, nell’assoluto convincimento che, soltanto con una preparazione eccellente, sarebbe diventata un ottimo agente. Ad appena ventotto anni poteva ormai considerarsi una spia pronta all’azione. Alta un metro e settantacinque, viso da creola, occhi azzurri e pelle ambrata, con un corpo stupendo, guizzante e tonico, si era trasformata in un’incantevole, seducente, micidiale arma letale. Andrew Tucker nel frattempo era stato elevato al grado di generale. Nel suo staff la punta di diamante era un pugno di agenti di provata fiducia e perizia, chiamato la Squadra. Tucker, cinquantenne, non si era mai sposato ritenendo la famiglia, per chi esercita la sua professione, un vincolo da non potersi permettere e considerava i suoi agenti come i figli che non aveva avuto. Sempre attento alle loro necessità, tenendoli continuamente sotto il suo controllo, era riuscito, in questa maniera, ad ottenere da loro fedeltà e rispetto assoluti. Il Comandante, così i ragazzi lo chiamavano, era un uomo dal carattere di ferro, fermo nelle decisioni, mai tentennante, un gentiluomo che non conosceva l’adulazione e l’opportunismo. La sua sfolgorante carriera era dovuta unicamente all’eccellenza dei suoi comportamenti in missione e agli ottimi risultati conseguiti. Ora a capo del SOC, godeva di un potere pressoché illimitato, sia in mezzi che in relazioni, ma nonostante questo il suo primo pensiero era il benessere e la sicurezza dei suoi ragazzi. Non esitava a mandarli in missioni pericolose, ma mai prima di averne studiato ogni rischio né permetteva in alcun modo a nessuno di interferire in un progetto di missione, senza prima averne vagliato personalmente tutti i particolari, affinché i suoi agenti fossero in grado di fronteggiare qualsiasi imprevisto. Questo suo atteggiamento infondeva nell’animo dei suoi uomini un senso di fiducia granitico che li portava ad agire con indicibile sicurezza, virtù essenziale per un agente operativo. Reclutava personalmente i suoi agenti, cercandoli nelle palestre, nei poligoni di tiro e in tutti i posti dove si svolgono esercitazioni del personale di polizia. In una simulazione di scontro tra spacciatori di droga ed un plotone di poliziotti, del quale Kora faceva parte, Tucker che da diverso tempo aveva cercato un elemento femminile amalgamabile con gli altri, per avere un team perfetto e completo, soprattutto aperto ad ogni possibilità di intervento, avendo constatato l’ottima preparazione conseguita dalla ragazza, volle inserirla nella ristretta cerchia della Squadra composta da quattro agenti che, sebbene tutti giovani, potevano già definirsi dei veterani, preparati in tutto lo scibile antispionistico, ognuno di essi eccellente in una specialità. Eric, il più giovane, tecnico delle comunicazioni, molto abile con i computer riesce a rintracciare qualsiasi informazione, entrando in ogni sistema operativo. Clarence addetto agli spostamenti guida qualunque cosa si muova, in terra, in acqua e in cielo. Sa pilotare ogni tipo di elicottero e di aereo, passando con disinvoltura da velivoli da ricognizione a velocissimi caccia Falcon. George maneggia e dosa gli esplosivi, calibrando al milligrammo la carica, con la disinvoltura e la precisione di un farmacista che prepara una medicina, capace di far saltare il tappo di una bottiglia di champagne senza romperla. Infine Steven, il più anziano, velocissimo, silenzioso, micidiale ti arriva alle spalle e ti mette il coltello alla gola in una frazione di secondo, talmente esperto in arti marziali che da solo può avere ragione di quattro o cinque uomini insieme. Un vero Bruce Lee. Ha partecipato a diverse missioni nel mondo, portandole tutte a termine con successo, dimostrando ottime qualità di stratega e grande attitudine al comando. E’ il numero uno, ai cui ordini tutti gli altri membri devono obbedienza, destinato a prendere, quando arriverà il momento, il posto di Tucker. Questa è la Squadra nella quale Kora entrò a far parte, avendo però davanti a sé altri due anni di preparazione sul campo, in operazioni di media difficoltà, prima di essere pronta al grande salto di qualità e partecipare a missioni operative ad alto rischio. La vita attiva media di un agente dura non più di dieci anni e Tucker che pretende sempre il massimo vuole che questo intervallo di tempo sia compreso tra i trenta e i quaranta anni di età, il periodo in cui le facoltà fisiche ed intellettuali dell’individuo sono al più alto livello raggiungibile. In seguito, quando viene dismessa l’attività operativa, gli agenti entrano a far parte dell’Intelligence. Anche Tucker ha seguito lo stesso percorso. I colleghi accolsero Kora con entusiasmo. Una donna li completava e li faceva sentire più uomini. Li umanizzava quel tanto perché si sentissero un po’ meno macchine da guerra. Il Comandante osservò con molta attenzione l’ingresso di Kora nella Squadra e soprattutto studiò le reazioni dei quattro uomini. Troppo bella per non scatenare nei ragazzi delle tempeste ormonali, voleva assolutamente che lei non costituisse elemento di distrazione. Il generale tenne un informale discorso, ricordando a tutti che, in anni di preparazione e di addestramento, era stato loro insegnato a ragionare solo con la testa. I sentimenti, le emozioni, tutti i possibili stati d’animo dovevano essere banditi dal normale comportamento. Kora doveva assolutamente non essere considerata più di una collega e il suo bell’aspetto non creare alcun motivo d’interesse. Se ciò fosse accaduto, tutti i sacrifici compiuti per raggiungere l’attuale livello qualitativo, sarebbero stati inutili. Se fosse bastata una sottana ad annebbiare la mente di un agente, tutta la preparazione ricevuta sarebbe stata vana, perché gli sarebbe mancato l’elemento più insostituibile: la freddezza. Il discorso, interpretato in chiave femminile, valeva anche per Kora. In pochissimo tempo i cinque agenti si amalgamarono così bene che non si riscontrarono mai differenziazioni di trattamento e di sesso. Sembravano soltanto cinque colleghi, dediti interamente al lavoro, svuotati di qualsiasi pulsione sessuale. Tucker ne fu fiero e pensò di avere finalmente degli agenti come aveva sempre desiderato. Per Kora l’addestramento continuava. Ora doveva cominciare a far pratica in azioni vere. All’iniziò le vennero assegnati incarichi di supporto alla Squadra in missioni non particolarmente pericolose. In questa fase, il compito della ragazza era quello di osservatore. Doveva solamente visualizzare quello che accadeva in azione, senza intervenire, al diretto comando di Steven che, di volta in volta, le avrebbe fornito spiegazioni precise affinché conoscesse ogni particolare ritenuto opportuno per il buon fine della missione. In tal modo Kora andava completando la sua formazione, prima di diventare attiva sul campo.
LONDRA - JOHN STURGESS
Evelyn Coleridge, capo del personale della sezione londinese della CIA, bussa alla porta del Direttore Albert Sisley appena arrivato in ufficio.
- Buongiorno signor Direttore. -
- Buondì Evelyn, entra pure. Perché questa visita? -
- Gary Sturgess della sezione stampa è assente da due giorni. Ieri ho provato a chiamarlo a casa, ma inutilmente. Vive solo. Al cellulare non mi ha risposto, ma non mi sono preoccupata molto. Sturgess è giovane e poiché ieri era lunedì ho pensato che forse avesse fatto bisboccia durante il weekend. Ogni tanto capita con gli impiegati, ma oggi la sua assenza mi preoccupa. Naturalmente ho provato a telefonargli di nuovo sia a casa che al cellulare, ma senza successo. Un particolare mi ha impensierito. Il suo cellulare, ieri suonava regolarmente, mentre oggi risulta disattivato, ma perché prima di disattivarlo, avendo senza dubbio notato la mia telefonata, non mi ha richiamato? Gary è educato, premuroso e questo comportamento non è da lui. La cosa non mi piace. -
- Senti Evelyn, so con certezza che Sturgess non ha un incarico molto importante qui da noi, ma non ricordo quale sia. Ora con precisione a cosa sta lavorando? -
- E’ un analista e sta facendo il lavoro di sempre. Prende in esame i giornali e le riviste di maggior divulgazione per controllarne gli articoli di nostro interesse, confrontandoli e rilevandone diversità che potrebbero contenere interpretazioni alternative a quella ufficialmente accreditata. A questo proposito va detto che è molto attento ed anche piuttosto bravo. Più di una volta, grazie a lui, è emerso che alcune notizie non vere erano state diffuse o per semplice propaganda politica o per sviare l’attenzione generale da avvenimenti più importanti. E’ questo il suo lavoro, impegnativo e indispensabile. -
- Decisamente sì. - Conclude Sisley. E poi continuando - Dobbiamo fare qualcosa. Affidiamo l’incarico al nostro nucleo investigativo interno e comunichiamo la sua scomparsa alla Polizia, rilasciando i dati personali di Sturgess, una sua fotografia e la targa della sua macchina, senza però denotare allarmismo, dicendo semplicemente che un cittadino inglese alle nostre dipendenze risulta irreperibile da due giorni. Se la Polizia dovesse chiedere perché ne abbiamo denunciato la scomparsa, risponderemo semplicemente che Sturgess non avendo dei parenti è toccato a noi il compito di avviarne le ricerche. Non dovranno essere fatti riferimenti al suo incarico, limitandosi a dire, nel caso venisse richiesto, che questo tipo di informazione può essere rilasciata solo dalla Direzione. -
- Bene signor Direttore, mi metto subito al lavoro. -
Evelyn esce dall’ufficio. Sisley perplesso e pensieroso comincia a rimuginare per tentare di capire quali possano essere stati i motivi di un così improvviso e inspiegabile allontanamento dell’impiegato. Pensa possa trattarsi di cosa di poco conto, ma Sturgess lavora per la CIA ed è suo dovere vagliare ogni possibilità. Le risposte plausibili sono due. La prima ipotesi è che si tratti di un malore, ma la disattivazione del cellulare non depone bene a questo proposito perché se cosciente del proprio stato di bisogno Sturgess avesse voluto chiedere aiuto, il mezzo più logico sarebbe stato il telefono, se invece per il malore fosse svenuto, non avrebbe potuto disattivarlo. In entrambi i casi questa ipotesi è da escludersi. La seconda riguarda una probabile diserzione o un sequestro, ma chi sarebbe interessato ad un impiegato con modeste mansioni, e ammessa tale eventualità, perché aspettare un giorno prima di eliminare il cellulare e non farlo subito? Gli investigatori di Sisley iniziano subito le indagini. Si recano a casa di Sturgess. E' piccola e con pochi mobili. In una parete trovano impilati centinaia di long playing, un numero ancor più grande di compact disc e nastri registrati. Sturgess, appassionato di musica classica, spende tutto il suo stipendio in dischi e concerti. Tutto viene attentamente esaminato. Il lavoro richiede qualche ora, ma alla fine non si rileva assolutamente niente. Anche il suo computer, a un primo esame, non mostra alcunché di particolare, nessun file sospetto, nessuna mail significativa. Controllano i tabulati dei suoi telefoni, ma anche qui, niente. Il giorno seguente Sisley riceve una telefonata dal tenente di Polizia Mc Cole cui è stato affidato il caso.
- Signor Direttore, sono il tenente Vince McCole, incaricato dell’indagine sul suo uomo scomparso, potrebbe venire da me? Ho delle notizie da riferirle. -
- Certamente, sarò da lei tra mezz’ora. -
Arrivato alla gendarmeria, Sisley si fa condurre da McCole.
- Signor tenente eccomi qua. Trovato qualcosa? -
- Per la verità non molto signor Sisley, ma potremmo aver individuato un punto su cui indagare. Ieri, analizzando alcuni filmati ripresi da telecamere poste in un centro commerciale dove, sabato sera all’incirca verso le ore 19.00 è avvenuta una rapina, in una di queste registrazioni è comparsa, in mezzo a tante altre macchine, quella di Sturgess in una zona non molto lontana dal negozio rapinato. Non c’è niente di sospetto in quella presenza, niente che possa ricondurre al crimine perpetrato, ma di Volkswagen cabriolet vecchio tipo non ne girano molte e sapendo che il suo uomo ne guida una mi sono insospettito. Ho controllato la targa. E’ la sua. Ora nel filmato si vede chiaramente che la vettura è ferma al margine della strada sul lato sinistro e il conducente sta parlando con qualcuno. Purtroppo la zona è in ombra e lontana dalla telecamera. Del conducente non si rileva alcuna immagine, mentre del suo interlocutore appare solamente un’indecifrabile macchia scura. In casi analoghi si analizzano sempre anche i filmati antecedenti l’accaduto, nella speranza di scorgere elementi che ci siano di aiuto, questo però è quanto siamo riusciti a trovare. Non è molto, mi spiace, ma è tutto quello che abbiamo. La ripresa in questione risale alle ore 23.00 circa di giovedì, due giorni prima della rapina. -
- Grazie dell’interessamento e mi scusi, potrei avere una copia della registrazione? Vorrei farla analizzare dai miei tecnici. -
- Certo! Immaginavo l’avrebbe chiesto. L’ho fatta preparare. -
Sisley ringrazia e se ne va. Arrivato in ufficio convoca il suo agente capo investigativo, comunicandogli di avere una traccia su cui lavorare. Il disco viene subito preso in esame. Si estraggono alcuni fotogrammi, nei quali le immagini sono maggiormente visibili e vengono passati più volte ad uno scanner ad altissima risoluzione, fino a quando nella informe macchia scura che ritrae il misterioso interlocutore si scorgono dei tenui, appena percettibili lineamenti di un volto che nell’oscurità un debolissimo raggio di luce è riuscito a catturare. L’immagine ricavata è indecifrabile, ma è comunque un inizio. Con un programma di interpolazione digitale, sulla base degli elementi riscontrati, l’immagine viene arricchita con altri pixel e, attraverso successive elaborazioni, finalmente il volto è definibile. E’ poco più che un identikit, seppure discretamente ben delineato, purtroppo però quel viso, sottoposto ad un programma di riconoscimento facciale, non dà alcuna risposta. Però, poiché ogni cosa ha in sé la sua giustificazione, immediatamente viene passato in rassegna tutto l’operato degli ultimi mesi di Sturgess. Dagli accurati controlli effettuati, niente di sospettoso si riscontra nell’attività di questo impiegato che invece sembra essere diligente e coscienzioso e anche la sua vita personale appare senza macchie. Sisley vorrebbe risolvere la questione prima di informare la direzione centrale americana dell’agenzia, non potendo però aspettare di più informa Langley dell’accaduto. Il suo diretto superiore americano gli chiede di inviare con sollecitudine un dettagliato resoconto e se, dopo un attento esame, si riterrà necessario verrà chiamato di persona a riferire sui fatti. Il giorno stesso Sisley invia la pratica in Virginia, ma sebbene minuziosamente esaminata, per mancanza di elementi significativi il caso viene archiviato come semplice scomparsa di persona.
NEW YORK - BILL DOUGLAS
Una settimana avanti l’episodio di Londra, Bill Douglas, giornalista, impiegato nell’ufficio stampa del FBI di New York, è stato visto insieme ad un pregiudicato, noto alla polizia americana come estremista anarchico che, anche se mai fu provato, sembra abbia avuto qualche ruolo nella strage dell’11 settembre. Contrariamente a Sturgess, l’addetto stampa, di cui già per altri episodi si era rilevato un comportamento non consono al suo incarico, era costantemente tenuto sotto osservazione e la sua presenza con l’estremista è stata prontamente notata. Il fatto, seppure inquietante, non aveva creato un particolare stato d’allarme, perché il pregiudicato potrebbe essere uno dei tanti informatori di cui i giornalisti si servono per i loro servizi, ma ora con la scomparsa di Sturgess l’episodio, visto in una nuova prospettiva, lascia presagire altre possibilità che dovranno essere prese in considerazione. Si inizia pertanto ad indagare più a fondo sulla vita privata e sul lavoro del giornalista.
TUCKER E' A LONDRA
Alle due del mattino il telefono, con il suo fastidioso trillo, rompe la quiete notturna nella quale Tucker è sprofondato. La telefonata viene da Londra. Ecco in arrivo qualche guaio, pensa, e solleva la cornetta.
- Buon giorno generale Tucker, l’aspetto per le cinque del pomeriggio, ora inglese. Ha solo due ore per partire. - E' il breve, laconico messaggio di Sebastian Gallagher, dirigente dell’ufficio diplomatico dell’ambasciata americana a Londra.
- Ci sarò! - E’ la risposta altrettanto lapidaria di Tucker.
Per quanto le loro linee telefoniche siano protette, è prudente parlare il meno possibile. A Londra sono le sette del mattino, il che significa che una riunione si è tenuta la sera prima e la tempestività con cui è chiamato a partecipare al briefing del pomeriggio all’altra sponda dell’Atlantico non promette niente di buono. Ore 03.45, il Gulfstream V, jet personale del Comandante, all’aeroporto militare Hunter Army Airfield è pronto al decollo. Quando gli capita di partecipare a riunioni indette all’improvviso si è abituato a non porsi domande che lo stancherebbero inutilmente nel tentativo di capirne le motivazioni E’ sua norma in tali circostanze pensare ad altre cose, per arrivare all’appuntamento con la testa lucida e sgombra da qualsiasi idea. Decide quindi di riprendere il sonno interrotto e subito si addormenta. Tra un sonnellino e l’altro riesce a dormire per quasi tutto il tempo di volo. All’arrivo, dopo essersi rinfrescato nella toilette dell’aereo, e ritemprato da una buona tazza di caffè nero, è nelle condizioni migliori per affrontare la giornata. Alle 15.00, ora inglese, l’aereo atterra all’aeroporto di Heathrow. Una berlina del corpo diplomatico USA, a pochi metri dal velivolo, lo attende per condurlo all’ambasciata. Tucker non viene nel Regno Unito da quattro anni, e mentre percorre l’autostrada per Londra ri-pensa con nostalgia a quel breve viaggio che, sulla stessa autostrada, lo portò nel Galles al villaggio di Hay-on-Wye, in compagnia di Emma Lewis, una bella signora divorziata con cui, in quei giorni di stanza a Londra, intrecciò una relazione. Avevano preso alloggio in un cottage lungo il fiume Wye. Di giorno si dedicavano alla pesca al salmone e la sera si sfidavano in interminabili gare di scacchi, nelle quali solo una volta era riuscito a dare scacco matto a Emma, con il sospetto che la signora lo avesse fatto vincere a bella posta per non mortificarlo troppo. Furono giorni stupendi e felici ed ora il ricordo lo rattrista un poco. Non ha visto più Emma. Si sono solamente sentiti qualche volta al telefono subito dopo la sua partenza da Londra e poi più niente. Le piacerebbe incontrarla di nuovo, ma certamente non è questa l’occasione giusta. L’autista ferma l’automobile al 24 di Grosvenor Square, sede dell’ambasciata americana. Davanti all’ingresso piantonato da due guardie Sebastian Gallagher lo sta aspettando.
- Ben arrivato signor generale, sono Gallagher. Il suo volo è stato confortevole? -
- Sì grazie, abbiamo viaggiato bene, senza turbolenze, ho potuto anche dormire. -
- La riunione inizierà tra dieci minuti. La prego di seguirmi. -
Superato il metal detector si avviano in un lungo e stretto salone, vuoto, arredato solamente con due interminabili teorie di quadri che si estendono sulle pareti. Alla fine del vestibolo, un agente in borghese è di guardia in una sala d’aspetto che immette direttamente nello studio di Bartholomew Rutherford, ambasciatore in carica da appena un anno. Tucker non lo ha mai incontrato, né ha mai visto delle sue foto e quando entra nello studio rimane un poco sorpreso. Sui quarant’anni, snello, di media statura, di americano non ha nulla. Vestito con un abito doppiopetto fumo di Londra, leggermente rigato da sottili venature grigio chiare, camicia bianca con gemelli ai polsini, su cui spicca una cravatta Vivax color blu, punzecchiata da piccole losanghe color oro, scarpe Duilio nere della miglior fattura e anello gentilizio al dito mignolo della mano sinistra, sembra un lord inglese più che un connazionale di Boston, città nella quale è nato e da dove proviene. L’impressione, a prima vista, non è gradevole. Tucker credeva di essere portato al cospetto di un vero americano e invece ha davanti a sé un signore misurato nei modi e affettato nei comportamenti, nel quale nessuno potrebbe vedere uno yankee. Persino quando l’ambasciatore gli chiede se gradisca bere qualcosa, Tucker si aspetta un bourbon con del ghiaccio e invece gli viene offerto un bicchierino di sherry, invecchiato dei giusti anni come l’ambasciatore tiene a precisare. Pensa che quel signore debba essersi troppo uniformato al luogo dove lavora, ma questo non influenza minimamente il suo comportamento nei riguardi del diplomatico, al quale ossequiosamente, dichiara di essere al suo servizio. La riunione assume sin dall’inizio un tono molto formale.
Rutherford avvia la conversazione - Caro generale, l’ho convocata qui, dopo essermi naturalmente consultato con il nostro Segretario di Stato, per conoscere il suo parere e valutare altresì la sua disponibilità in una questione della massima urgenza. Il signor Gallagher al telefono non ha avuto modo di spiegare che in realtà non si sarebbe trattato di una riunione con altre persone, ma solo di un colloquio a due, tra lei e me. Vorrà scusarmi se, senza alcun preavviso e con urgenza, l’ho fatta volare sin qui, ma alle diciassette in punto avremo un abboccamento con Sir Archibald Fowley, ministro degli interni inglese, per riferirgli i termini del nostro incontro, ma veniamo, senza frapporre ulteriori indugi, al motivo della sua visita che è rappresentato dalla sua grande competenza in azioni eversive che minano gli equilibri politici internazionali e la sua esperienza in atti terroristici, non esclusi quelli causati dagli esplosivi liquidi che lei conosce molto approfonditamente. -
- Al SOC ho personalmente diretto un seminario su tale argomento. - Risponde Tucker e proseguendo - Tali esplosivi sono usati per azioni di terrorismo sugli aerei perché facili da approntare, e si possono ricavare miscelando componenti innocui, non soggetti al controllo delle dogane. Allo scopo vengono utilizzate bottiglie riempite con bevande colorate, alle quali si aggiunge un doppio fondo, reso invisibile dal colore della bibita, contenente liquidi o gel esplosivi molto sensibili al calore, semplicemente innescabili con una piccola carica elettrica prodotta da una normalissima pila stilo. -
Riprende il discorso l’ambasciatore - Questa tecnica terroristica, apparsa per la prima volta nel 2006 e in seguito caduta in disuso per i controlli effettuati alla dogana, sembra essere ritornata in voga. La polizia inglese pochi giorni orsono ha scoperto e sventato un piano terroristico programmato da alcuni elementi appartenenti ad una cellula, ancora non bene identificata, il cui obiettivo erano le linee aeree di collegamento tra il Regno Unito e gli Stati Uniti. Ancora, ringraziando Iddio, non è successo niente, ma dobbiamo essere preparati a sventare ogni incipiente mossa e ridurre all’impotenza questi fanatici. La polizia inglese, unitamente ad alcuni reparti speciali, collaborerà con tutte le forze che gli Stati Uniti vorranno mettere in campo. Le operazioni che prima di tutto dovranno essere di investigazione, secondo un protocollo ancora informale, ma che a breve diventerà ufficiale, dovranno essere eseguite autonomamente dal Regno Unito e dagli Stati Uniti nei rispettivi territori, mentre i risultati ottenuti saranno esaminati dal Governo britannico che si è assunto la paternità dell’operazione. Questo però non significa che lei dovrà sottostare agli ordini del governo inglese, bensì potrà agire in piena e totale autonomia, limitandosi semplicemente ad inviare i suoi rapporti a Londra dove da una intelligence costituita ad hoc saranno presi i conseguenti provvedimenti. -
- E da chi è formata questa intelligence che sceglierà, di volta in volta, le strategie da mettere in atto? -
- Da due persone: dal Ministro dell'interno Lord Fowley, quale coordinatore di tutte le Forze Armate, della Polizia, del servizio di controspionaggio e dei servizi segreti inglesi e infine da lei generale, cui analogamente faranno capo tutte le Forze Armate, la CIA, il FBI, la Polizia, i vari corpi speciali e il servizio controspionaggio degli Stati Uniti. In pratica il comando di tutti i reparti sarà affidato a lei e a lord Fowley. Come vede c’è assoluta parità decisionale, nonché operativa tra il governo britannico e quello statunitense. Si è optato di ridurre a due soli componenti tale organo per mantenere nel più stretto riserbo le misure repressive che verranno attuate e renderne più rapida l’operatività. Quale sede ufficiale del progetto è stata scelta Londra unicamente perché l’idea di collaborazione è partita dagli inglesi. -
Tucker che all’inizio sembrava perplesso e soprattutto aveva avuto l’impressione di avere un ruolo secondario nell’operazione, ora si sente più tranquillo e sebbene si vedrà costretto a recarsi spesso a Londra, accetta senza remore il progetto nel suo insieme. Come concordato, alle diciassette, Rutherford e Tucker sono allo studio del Ministro degli interni. Un usciere li annuncia. Il ministro si alza dal suo tavolo di lavoro, va alla porta per riceverli e con fare cordiale porge loro la mano.
- Buonasera signori. Grazie per la vostra puntualità. Del resto dall’ambasciatore Rutherford non mi aspettavo un diverso comportamento, soprattutto vorrei esprimere i miei più sinceri sentimenti di benvenuto a lei, signor generale per essere qui da noi. -
Il ministro, dopo aver fatto accomodare i convenuti in un salottino, all’interno del suo studio arredato con due divani di pelle trapuntata color rosso bordeaux, riprende la parola - Signor generale, l’ambasciatore Rutherford le ha già accennato il motivo della sua visita qui a Londra. Nell’ambiente si sa quanto lei sia esperto conoscitore dei problemi che riguardano il terrorismo, tanto da essere considerato la massima autorità in materia. Il terrorismo rappresenta la piaga più virulenta che le Nazioni quotidianamente sono costrette ad affrontare, ma la richiesta di collaborazione con il suo Paese, non riguarda soltanto questo aspetto. Come lei ben sa, il terrorismo si è evoluto e si manifesta in svariati modi. Orbene, senza dilungarmi troppo su argomenti che lei conosce meglio di me, io le chiedo assistenza anche per i casi che, apparentemente non di stampo prettamente terroristico, potrebbero destabilizzare gli equilibri politici e sociali internazionali. Si vorrebbe in sostanza creare uno scudo di protezione alle nostre istituzioni, troppo spesso compromesse nella loro integrità da fattori di equivoca finalità. Qualsiasi accadimento che definiremo straordinario, si vorrebbe essere preso in seria considerazione, in un’atmosfera di completa reciprocità. Pertanto dovranno sottoporsi alla nostra attenzione anche situazioni che pur esulando dal puro terrorismo, potrebbero minare la sicurezza e la stabilità delle nostre nazioni. Mi auguro di essere stato sufficientemente chiaro nell’esporre il nostro comune intendimento, riguardo al quale non pretendo da lei un assenso incondizionato, essendo questo il nostro primo abboccamento. Se lei accetterà di collaborare con il nostro governo, avremo altri incontri nei quali vicendevolmente chiariremo i dubbi che potranno sorgere. -
- Ho compreso signor ministro. Mi ritenga pure a disposizione. -
- Bene! Proporrei un brindisi per suggellare il nostro accordo. Qui nel mio studio, ho dello sherry e dello scotch. -
In un clima di calda cordialità, dovendosi solamente ratificare l’approvazione e la disponibilità di Tucker al progetto, la riunione è conclusa. All’uscita dal Ministero degli Interni, Rutherford, con una espressione soddisfatta stampata in viso, si rivolge a Tucker dicendo che sarebbe felice di averlo suo ospite a cena presso l’Ambasciata e, se vorrà, vi sarà anche un appartamento disponibile per la notte.
- La ringrazio cordialmente per l’offerta di ospitalità, che però, se non la offende, vorrei limitarla alla sola cena. Sono lontano da Londra da diversi anni e le confesso di avere il desiderio di andare in giro per la città e ritrovare qualcosa del passato. Domani mattina devo essere a Washington per riferire della visita londinese al segretario di Stato e ho solo questa sera per vagabondare un po’. -
- Comprendo benissimo! -
- Ho bisogno di una doccia e di cambiarmi d’abito. A che ora dovrò essere da lei? -
- Quando sarà pronto! Non c’è alcun orario prestabilito. Saremo in tre: lei, mia moglie ed io. -
- Può andare bene per le nove? -
- Certamente! -
- La prego di scusarmi anticipatamente con la signora, ma sono vestito così da questa mattina. -
- Non deve scusarsi signor generale. La mia auto è a sua disposizione. -
L’autista dell’ambasciatore conduce il generale al Claridge’s in Mayfair, dove gli è stata riservata una suite. Chiusa la porta dell’appartamento dietro di sé, Tucker si affretta a fare una telefonata a Savannah, precisando che l’indomani sarà di ritorno. Al concierge dell’hotel ordina dei fiori. Gli dicono che hanno delle splendide orchidee. Opta per una sola, grande orchidea blu, una Vanda Coerulea, racchiusa in una trasparente scatola di cellophane rigido. Attingendo al bar della suite si prepara un Jack Daniel’s con ghiaccio, accende un Upmann e si lascia cadere su di una soffice poltrona per rilassarsi un poco prima della doccia e riflettere sui fatti del giorno. Quello che gli è stato prospettato sembra essere di vitale importanza e perfettamente in linea con i programmi antiterrorismo in atto negli Stati Uniti. Non è solito compiacersi dei propri successi, ma con questo incarico deve ammettere di essere arrivato al vertice della piramide e si sente giustamente orgoglioso della sua carriera. Dopo una corroborante doccia ed essersi rasato, indossa il suo smoking confezionato dalla migliore sartoria italiana di Washington e, fresco e riposato, è pronto per la cena in casa Rutherford. Si guarda allo specchio. E’ soddisfatto. L’immagine che vede è quella di un bell’uomo di successo, ancora giovane, anche se sulle tempie, alcuni fili grigi rompono l’uniformità corvina dei capelli. All’ambasciata, il maggiordomo lo fa accomodare in un salotto che funge da anticamera alla sala da pranzo e gli chiede se gradisca un aperitivo, ma ha già bevuto il suo bourbon e non desidera altro. Mentre il maggiordomo lascia il salotto, fa il suo ingresso la signora Rutherford. Arlette Pauline Rouvel, baronessa di Wissembourg, sposata Rutherford è una splendida donna poco più che trentenne, alta e flessuosa, capelli color biondo miele e occhi celesti che denotano le origini alsaziane della famiglia. Indossa un abito nero con sottili spalline che mettono in mostra un magnifico décolleté, tra le cui rotondità si adagia mollemente un brillante tagliato a goccia. Non sfoggia altri gioielli, ad eccezione di una semplice vera d’oro all’anulare sinistro. Incede lentamente verso il generale, il quale alzatosi dalla poltrona su cui è seduto, accennando un inchino mostra la propria reverenza verso la signora.
- Generale Tucker è un vero piacere averla qui con noi questa sera. Mio marito, mi ha parlato tanto di lei, esprimendosi in termini molto positivi, denotando una considerevole stima nei suoi riguardi, pur non conoscendola, traendo unicamente il suo giudizio da informazioni d’ufficio. Le dirò che, ben sapendo quanto Bartholomew sia restio nell’esprimere elogi, sono stata subito presa da curiosità per la sua persona ed ora sono contenta di fare la sua conoscenza. Voglio inoltre ringraziarla per la magnifica orchidea. -
- Milady, i suoi apprezzamenti, anche se molto graditi, mi mettono in imbarazzo e spero di essere all’altezza della sua considerazione e di non deluderla. -
- E perché mai ciò dovrebbe avvenire? Il suo passato, tutta la sua carriera delineano chiaramente chi lei sia. No, non credo proprio che debba avere di questi timori, ma vogliamo continuare la nostra conversazione a tavola? -
- Certamente milady, con vero piacere. -
- Su di lei ho saputo molto, ma mio marito non ha potuto dirmi quali siano i suoi piatti preferiti e allora ho chiesto al nostro cuoco italiano di preparare un menù semplice, senza ricercatezze, confidando che quasi sempre il meglio si nasconde nella semplicità. -
Tucker risponde con un amabile sorriso, chinando leggermente la testa in cenno di assenso. La sala da pranzo rettangolare è arredata in stile Regency, con un lungo tavolo dove possono sedere venti persone e due consolle a pendant, disposte sui lati corti della stanza, sulle quali fanno mostra alcuni argenti. Le pareti sono ornate da quadri anch’essi del secolo XIX, in perfetto e compiuto stile vittoriano. La tavola è apparecchiata con stoviglie in porcellana di Sevres, bicchieri di cristallo sottile e posate di argento massiccio di squisita fattura, mentre il tovagliato, bianco avorio, è un intricato ricamo traforato di Bruges. Consommé di anatra con crespelle e filetto di manzo al vino rosso di Borgogna, accompagnati da un profumato Grignolino piemontese, salmone scozzese in court bouillon con maionese, servito con un bianco Muscadet de Sèvre et Maine e per dessert un semifreddo al pistacchio, è il menù. A tavola la conversazione è piacevole e scorre leggera. Si parla soprattutto, senza addentrarsi nei particolari, di quello che sta accadendo nel mondo, di quanto sia diventato difficile per i governi, mantenere la pace nei propri Paesi in un mondo che sembra sempre più far ricorso alle armi, noncurante dei trattati diplomatici nel raggiungimento di traguardi sociali e politici. Un terzo degli Stati del mondo è direttamente coinvolto in guerre che sussistono a vario titolo, mentre i restanti due terzi, quasi totalmente, sono anch’essi impegnati in missioni di pace per cui si può tranquillamente dire che tutto il mondo è in guerra e dove questa non si vede direttamente la si riscontra nelle azioni terroristiche che gli innumerevoli gruppi separatisti - se ne contano a dozzine - mettono in atto quotidianamente nelle più svariate nazioni. Addirittura esistono Stati che sono dilaniati da più di una guerra, come accade in Africa. E questo è un quadro numericamente instabile, in continua escalation, tanto che la paura di un conflitto mondiale è sempre alle porte. I motivi di conflitto sono storicamente sempre gli stessi: espansione territoriale, retaggio di politiche imperialistiche, accaparramento di risorse strategiche, quali il petrolio e l’acqua e da ultima, ma non per ultima, perché forse è la prima causa, l’imposizione di una religione di Stato. Il pranzo sta volgendo al termine e la conversazione, sebbene si sia parlato di argomenti di una certa importanza, è stata leggera e non stancante. I due signori non hanno calcato la mano per rispetto alla squisita padrona di casa. Per il caffè si passa nel salotto attiguo. La signora Rutherford si occupa personalmente del dopo pranzo, offrendo caffè e liquori.
- Generale, mi è stato detto che solitamente beve del bourbon, ma se mi permette vorrei servirle un scotch di puro malto, un Balvenie Doublewood di dodici anni. E’ un buon whisky che ogni tanto anch’io bevo. -
- Non lo conosco, ma credo sarà ottimo, come del resto è stato eccellente tutto il pranzo. Grazie, lo accetto molto volentieri. -
La signora prepara tre bicchieri, in due dei quali versa una normale quantità di distillato che porge ai due signori, mentre nel terzo, per lei, ne mesce la metà. Sorseggiando il whisky, conversano amabilmente di fatti mondani, lasciandosi andare anche un poco al gossip, poi la signora, adducendo il pretesto di essere un po’ stanca, saluta l’ospite, dà un bacio sulla guancia al marito e si ritira.
- Signor ambasciatore, lei è un uomo veramente fortunato. Sua moglie, oltre che bellissima è anche una vera signora. -
- Grazie generale. Sì, mi ritengo fortunato. Ma ora che siamo soli, che ne direbbe di un buon sigaro, io fumo solitamente dei Cohiba del tipo Corona Especiales, ne fumerebbe uno anche lei? -
- Con vero piacere. -
Ora, riprendono, in maniera più decisa il discorso iniziato a tavola.
- Generale, il problema del terrorismo è diventato veramente una priorità assoluta. Ogni giorno, in diverse parti del mondo, ci sono attentati e stragi e purtroppo il più delle volte si assiste impotenti al compiersi di questi atti di inciviltà. E’ necessario, almeno nei nostri due Stati, dare un forte e deciso giro di vite acciocché si ponga un limite a queste scelleratezze, quasi sempre perpetrate ai danni di gente comune che niente ha a che fare con il potere. Il terrorismo compie soltanto azioni di pura vigliaccheria, seminando, in tutte le direzioni, morte e tribolazioni alle popolazioni inermi, allo scopo di creare una leva destabilizzante dei veri poteri. -
- Ahimè, ben conosco la situazione e per quanto si faccia, questo flagello non si riesce mai sradicare totalmente. Si sopprime una cellula e subito dopo, come per sporogenesi, ne crescono altre ancora più terribili e votate a indicibili nefandezze. Gli Stati Uniti, dopo l’olocausto dell’11 settembre hanno avviato una serie di misure repressive, ma il problema vero non è la repressione. Come in ogni malattia, perché il terrorismo è una malattia, seppure di natura sociale, è importante la prevenzione. Controllare e reprimere sono elementi di difesa importanti in questa lotta, ma bisognerebbe intervenire culturalmente sull’educazione dei popoli, plasmando gli animi delle persone al più alto senso di civiltà e fratellanza perché non cadano nel gorgo distruttivo del terrorismo, dal quale non si esce, se non con la morte. -
L’ambasciatore. - Giustissimo! Mi trova perfettamente concorde sull’opportunità di un’adeguata educazione sociale che inculchi nelle menti quello che il terrorismo rappresenta. Ma intanto in attesa che ciò avvenga, se mai avverrà, siamo nella difficile situazione di doverci proteggere dalle azioni stragiste che diventano sempre più complesse e questo compito, generale, almeno nella fase attuale spetta a lei e al ministro degli interni inglese Lord Fowley e se ho ben afferrato il concetto delle brevi e concise parole del ministro, deve essere portato a termine in fretta. Al suo rientro in America, il Segretario di Stato, le fornirà maggiori ragguagli. -
La serata è terminata. Un breve saluto, con la sottintesa certezza di rivedersi al più presto e Tucker è già sulla macchina che lo ricondurrà al suo albergo. Avrebbe voluto fare un giro notturno della città, alla ricerca di cose perdute e di sensazioni non più provate, ma la gravosità dell’incarico assegnatogli l'ha talmente assorbito che già pensa al modo di organizzarsi per fronteggiare l’occorsa esigenza. E poi c’è Arlette. Questa signora, per l’innata eleganza e la straordinaria bellezza, l'ha turbato. Non può fare a meno di pensare a lei. I coniugi Rutherford sembrano molto uniti, eppure lo spirito d’osservazione allenato e affinato in anni di attività investigativa lascia intravedere nel quadro complessivo una sottile distonia che, pur non messa bene a fuoco, Tucker avverte sensibilmente e ne è disturbato. La coppia è perfetta nei tratti e negli atteggiamenti reciproci, ma è proprio questa perfezione, questa mancanza apparente di difetti, che gli dà fastidio. Sente che non è spontanea. Intuisce chiaramente che è artefatta e ben costruita. C’è qualcosa di non convincente. L’atteg-giamento di completo disinteresse mostrato dalla signora per i problemi sociali affrontati è inspiegabile. Solitamente le mogli di diplomatici importanti conducono parallelamente al coniuge attività di supporto come la gestione di enti di beneficenza, raccolta di fondi per campagne umanitarie, ma la signora Rutherford sembra non appartenere a quel mondo. Può succedere, perché nessun obbligo specifico si richiede alla consorte di un ambasciatore, se non quello di essere una buona padrona di casa e in questo la baronessa è perfetta, ma Tucker è ugualmente perplesso. La signora è troppo particolare e chissà, forse non è proprio intoccabile. Dopo quest’ultima idea che, secondo il suo senso critico, denota un vasto raggio d’azione, si sente più rilassato. Non ha pensato nemmeno per un momento ad un possibile love affaire con la bella Arlette, ma l’idea di trovarsi di fronte a possibili divieti lo rende inquieto. Non ama sentirsi compresso in spazi limitati. Per lui non ci sono sul suo cammino passi invalicabili. La forza del suo successo è sempre consistita nella certezza che ogni problema può essere risolto e che posando un piede dopo l’altro si può arrivare ovunque. Prima di coricarsi, decide che l’indomani mattina, in aereo, dovrà fare una telefonata. Un ultimo bourbon e si prepara a dormire.
I RUTHERFORD
Il concierge dell’albergo annuncia la sveglia. Tucker entra in bagno, una doccia e subito dopo prende la colazione con caffè nero e una spremuta di pompelmo. La giornata sarà bella, così almeno sembra guardando dalle finestre della suite. Nonostante le quattro ore in più di fuso orario non avverte minimamente l’effetto del jet lag. Questo gli ricorda quanti aerei, a qualsiasi ora del giorno, abbia preso nella sua vita. Quante volte nel giro di poche ore si sia trovato in un altro continente, al punto che il ritmo biologico del suo corpo ormai non risponde più al condizionamento delle abitudini. Si chiede se la sua vita somigli a quella delle altre persone, ma lui non può permettersi di essere una persona comune e certamente non vorrebbe esserlo. All’aeroporto di Heathrow, le turbine del Gulfstream V sono accese. Si decolla. A bordo telefona ad Eric.
- Eric scusami se stavi dormendo, ma ho assoluto bisogno di avere informazioni sull’ambasciatore americano a Londra Rutherford e su sua moglie, Arlette Pauline Rouvel, baronessa di Wissembourg. Di questi signori voglio sapere tutto. Dove sono nati, dove sono cresciuti, la loro consistenza economica e notizie sul loro matrimonio. Hai poche ore, il tempo che io arrivi a Savannah. -
- Agli ordini signor generale. Sarà fatto! -
Questa volta Tucker non dorme. A Londra ha riposato bene e il nuovo incarico lo ha eccitato. Inizia subito a stendere un programma operativo. A Savannah Eric lo accoglie all’aeroporto.
- Signor generale buongiorno. Ho con me tutto quanto sono riuscito finora a trovare sui signori Rutherford. -
- Grazie Eric. -
Con un perfetto dietrofront, accompagnato da un sonoro rumore di tacchi, Eric saluta il Comandante e lascia l’aeroporto. Nella macchina che l’accompagna al SOC Tucker inizia a leggere il dossier voluminoso e corredato di fotografie. La famiglia Rutherford originaria del Massachusetts è di estrazione borghese. Il nonno paterno di Bartholomew, Adrian, era operaio in una grande industria tessile e avendo uno spiccato spirito imprenditoriale, verso il 1950, alla periferia di Boston, avviò un suo laboratorio attivo nello stesso settore che sviluppò sino a farlo diventare negli anni ’60 una piccola industria. Aveva avuto due figli maschi. Il maggiore Ezra, arruolato nel corpo dei Marines, combatté in Vietnam dove nel 1967 rimase ucciso. L’azienda di famiglia crebbe di anno in anno, assumendo sempre più le dimensioni di una grande industria e alla morte del fondatore, il figlio minore Richard ne prese il timone portandola al livello delle più grandi industrie tessili del Massachusetts. Richard, impegnato sin da giovanissimo nel lavoro del padre, non avendo potuto studiare voleva che i suoi figli Catherine e Bartholomew, più giovane della sorella di cinque anni, avessero una buona istruzione, quella che lui non aveva avuto. I due ragazzi fecero i loro studi all’Università. Catherine che aveva ereditato dal nonno il senso degli affari studiò economia ad Harvard e appena laureata divenne dirigente nell’azienda di famiglia, gestendola con successo e diversificando le attività attraverso l’incorporazione di altre industrie collegate al tessile. Dopo qualche anno la Rutherford Industries divenne una holding consistente in una dozzina di società, producendo guadagni da capogiro. Il padre Richard, avendo trovato in Catherine un ottimo capitano d’industria, volle che Bartholomew entrasse in politica, ritenendo che così sarebbe stato di grande supporto alle espansionistiche mire della sorella e, desiderando che il suo ingresso in quel mondo avvenisse dalla porta principale, gli fece studiare scienze politiche all’Università di Princeton. Presa la laurea, il padre ancora non pago volle che Bartholomew frequentasse dei corsi di perfezionamento alla Sciences Po di Parigi, prestigiosa Università per gli studi politici, avendo in tal modo anche l’opportunità di apprendere il francese che, unitamente allo spagnolo già conosciuto, avrebbe arricchito la sua cultura linguistica. Bartholomew naturalmente accettò di buon grado di proseguire ancora per qualche tempo i suoi studi nella magnifica città europea, restando a Parigi per due anni, al termine dei quali con un diploma dell’Ateneo francese e una perfetta conoscenza della lingua rientrò a Boston. Aveva ventisei anni, si era formato in importanti Università, parlava tre lingue ed era ricco. Quando, attraverso le conoscenze della sorella, gli fu offerto di fare da segretario particolare all’ambasciatore americano a Parigi gli sembrò di toccare il cielo con un dito. Come inizio non era niente male, però non aveva tenuto in conto lo snobismo dei francesi che rilevarono in lui dei comportamenti forse un po’ troppo yankee e soprattutto l’invidia dei colleghi americani che, non perdonandogli le sue umili origini, lo mettevano in ombra e a trentacinque anni era ancora segretario. Giulio Cesare disse di preferire essere primo in Gallia piuttosto che secondo a Roma e anche Bartholomew avrebbe preferito essere titolare d’ambasciata in un piccolo Stato, anziché essere soltanto segretario in una sede importante come Parigi. Il padre, suo mentore, comprese che la ricchezza aveva portato lustro alla famiglia, ma non l’aveva riscattata dalle oscure origini. Un matrimonio importante con una nobile signorina europea dall’illustre casato avrebbe potuto colmare quella lacuna. Di giovani nobili altolocate a Parigi ve ne erano molte, ma Bartholomew voleva che la sua futura sposa fosse anche bella. Ad un ricevimento conobbe una stupenda giovanissima ragazza che si fregiava del titolo di baronessa, Arlette Pauline Rouvel, baronessa di Wissembourg, cittadina francese dell’Alsazia. La ragazza era attraente ed insolitamente bella. Il suo casato, molto antico, compariva a pieno diritto negli elenchi delle nobili famiglie francesi e non solo, essendo Wissembourg terra di confine con la Germania nel suo albero genealogico comparivano i nomi di diversi nobili tedeschi. Bartholomew si interessò immediatamente alla ragazza. Un tempo molto abbienti, i Rouvel per sopraggiunte calamità economiche avevano perduto quasi completamente la loro ricchezza. La famiglia di Arlette, vedendo in questa occasione la possibilità di rinsanguare il proprio patrimonio, caldeggiò di buon grado le nozze. Arlette non fu mai felice di questa unione ma, immolandosi sull’altare del rispetto verso la propria famiglia, divenne la signora Rutherford. La frequentazione di salotti esclusivi cui Arlette era ammessa nonché le conoscenze altolocate del di lei padre mutarono l’eterno segretario Bartholomew in ambasciatore in Olanda. Dopo quell’incarico, durato cinque anni, i Rutherford, approdarono a Londra, loro residenza attuale. In sintesi, queste sono le notizie salienti del dossier, sufficienti per capire che l’unione, nata per reciproca convenienza, non fu mai benedetta dall’amore, almeno per Arlette e questo certamente in parte contribuisce a spiegare il suo atteggiamento di distacco.