Settantacinque anni
- Belisario Righi
- 3 gen 2021
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 11 mar
DI BELISARIO RIGHI
Autoritratto - Dipinto di Harmenszoon van Rijn Rembrandt
Sono le tre e tre quarti del mattino. Mi sono appena svegliato. Stranamente ho dormito quattro ore di fila. Cosa per me abbastanza rara. Mi alzo. Non voglio restare a letto a rubare, a quel che rimane del mio tempo, ancora un’ora o due di sonno di cui non ho bisogno. Del resto oggi è un giorno speciale. Compio settantacinque anni. Un traguardo importante. Il prossimo saranno gli ottanta?
Chissà! Quando si diventa vecchi si cambia modo di pensare. Come Milarepa abbiamo lasciato tutto alle nostre spalle, ma abbiamo guadagnato la liberazione? Ci siamo affrancati dal dubbio? Abbiamo potuto bearci del sorriso interiore del Buddha, del Sublime? Non ci si arrovella più la mente con temi esistenziali, cercando di capire chi siamo e dove andremo, se poi andremo da qualche parte. Se non siamo riusciti ad oggi a dare delle risposte a queste domande, perché continuare a porsi quesiti che non trovano soluzione? Con la vecchiaia ormai si ragiona solo in termini di tempo. Ci si rende conto che la nostra giovanile virtuale eternità non esiste più. Il fiume della nostra esistenza non è immutabile come il fiume di Vasudeva, che pur rinnovando perpetuamente la sua acqua ha sempre lo stesso aspetto, all’origine e alla foce. Noi siamo cambiati, nella sostanza e nell’aspetto e non abbiamo la certezza di trovare come il fiume l’abbraccio con il mare, il suo Tutto. L’unica nostra certezza è il passato. Non c’è futuro avanti a noi, lo sappiamo e per questo non abbiamo più lo struggente desiderio di apprendere e di fare nuove esperienze. Leggiamo libri già letti, vediamo film già visti, ascoltiamo musica già ascoltata. Consumiamo le nostre preziose ore in attitudini sicure. Non vogliamo correre rischi inutili. Quando si invecchia non si diventa più saggi, ma solo più accorti. Non cerchiamo nuovi volti. Ci sforziamo di ricordare quelli che abbiamo già avuto davanti ai nostri occhi. Vogliamo ritrovare, con i sensi della mente, un sorriso perduto, una parola ascoltata, un’emozione provata. Ripercorrere i labirinti del passato diventa una dolce consuetudine che appaga quel tanto da non farci sentire assetati di conoscenza e ci ben dispone verso il prosieguo del nostro cammino. In un universo in continuo movimento aneliamo diventare stelle fisse, non più soggetti a cinematismi estranei. Il divenire ha smesso di interessarci. Vogliamo piuttosto consolidare noi stessi, rafforzandoci con quello che abbiamo imparato, che sappiamo, incuranti di fare nuove scoperte. Si dice che nella Bibbia, vi sia espressa ogni forma di etica morale e civile, che nessuna congettura esistenziale esista al di fuori di essa, e allora c’è chi nella propria vita ha appreso tutto il necessario dalle sue pagine senza ricorrere ad altro sapere. Che il nostro passato sia dunque la nostra Bibbia. In esso dobbiamo cercare le risposte a tutti gli interrogativi irrisolti e se queste risposte non ve le troveremo, sarà inutile cercarle altrove, perché noi siamo quello che siamo stati. Buffa cosa è la vecchiaia. Mentre il corpo inarrestabilmente si disintegra, dalle sue macerie lo spirito si arricchisce e vola verso la libertà. Forse si obietterà che per essere spiriti liberi non sia necessario invecchiare, ma girare perpetuamente in tondo serve a ben poco se non si sa dove andare. La vecchiaia è una tappa obbligata. Non c’è scampo. E’ per questo che, costretti a riflettere, si può, se non spiegare, dare almeno un senso alla propria esistenza.
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