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Andrei Pomaceski | Analisi dell'Annunciazione

Aggiornamento: 18 mar

RACCONTO DI BELISARIO RIGHI



La donna prescelta per il ruolo di Madre di Dio guarda con sconcerto e timidezza l'Angelo Annunciatore, simboleggiato dal fascio di luce.

L'Annunciazione di Henry Ossawa Tanner - Olio su tela cm 145 x 189 - Anno 1898 - Museo dell'arte di Filadelfia.


Andrei Pomaceski era nato a Cracovia. Laureato in storia dell’arte, con una tesi sulla pittura rinascimentale toscana, grazie all’ottimo voto di laurea conseguito e alle conoscenze del padre, funzionario statale, aveva subito trovato lavoro come archivista presso il Ministero dei Beni Culturali, ma poiché l’impiego non gli dava troppe soddisfazioni e lo stipendio era piuttosto esiguo, si licenziò dopo due anni.

Sulla scia della forte emigrazione, dovuta anche al pontificato di Papa Wojtyla, all’età di ventisei anni decise di venire a Firenze.

Dopo una serie di lavori saltuari, dal facchino al posteggiatore abusivo ed altre attività precarie, trovò impiego come commis di cucina presso un ristorante del centro, un lavoro modesto, che gli dava però la sicurezza di uno stipendio tutti i mesi.

Un giorno passando davanti ad una libreria, vide affisso un cartello appeso al vetro.

Si richiedeva un commesso, il quale avrebbe dovuto vendere stampe e riproduzioni d’arte che, ad eventuale richiesta del cliente, sarebbero anche dovute essere incorniciate.

Andrei non aveva mai fatto il commesso, tantomeno sapeva come si tratta col pubblico e non aveva la minima idea di come si debba incorniciare un quadro, ma pensando che questo lavoro sarebbe potuto essere il primo, seppur limitato, contatto con il mondo dell’arte, entrò nel negozio.

Il proprietario, sig. Baldi, dopo un breve colloquio, lo assunse e l’indomani Andrei prese servizio.

Facilitato dalla sua cultura e soprattutto per l’esperienza fatta come archivista nei musei polacchi, ben presto si fece notare per la perizia con cui svolgeva il suo lavoro. Sapeva consigliare al cliente indeciso quale fosse la stampa giusta da acquistare, o la veduta di Firenze più interessante, e se gli veniva richiesta una cornice, senza esitazione si adoperava al meglio, indicando quella, a suo avviso, più acconcia.

Era bravo. La sua bravura fu notata da parecchie persone e sovente entravano nel negozio anche dei galleristi che gli chiedevano consigli sul tipo di cornice per alcune tele.

Il Sig. Baldi, lo incoraggiava a instaurare rapporti con i mercanti d’arte, anche se così facendo, sapeva benissimo che lo avrebbe perduto, ma si era talmente affezionato a questo ragazzo esperto e diligente, che voleva dargli una chance di miglioramento. Voleva che ottenesse un lavoro più adeguato alle sue capacità.

La libreria, si trovava in Via Por S. Maria, e la sera, terminato il lavoro, Andrei tornava a casa a piedi, essendo il suo alloggio poco distante, vicino alla Chiesa di San Romano, nei pressi di Palazzo Pitti.

Per rincasare non faceva la strada che chiunque avrebbe fatto, attraversando Ponte Vecchio per poi continuare diritto verso Palazzo Pitti. Andrei uscendo dal negozio, troncava per una viuzza laterale e andava in Piazza della Signoria, dove si fermava ad ammirare le opere dell’Orcagna, di Michelangelo, del Cellini, di Donatello e poi imboccava la via che conduce alla Galleria degli Uffizi.

Sotto il porticato della Galleria, si sentiva emozionato e commosso al solo pensiero delle opere presenti in quel museo, ne costeggiava le mura con il cuore in tumulto, come quando un innamorato passa sotto il verone della sua bella, sapendola in casa.

Arrivato al lungarno, scendeva sino al Ponte S. Trinita che, distrutto una prima volta dal peso della folla, una seconda dalla furia devastatrice dell’Arno, fu ricostruito per la terza volta nell’elegante foggia con cui oggi ci è pervenuto.

Ad Andrei faceva piacere passarvi, anche perché gli offriva la vista di un altro ponte importante: Ponte Vecchio, non bellissimo, ma esistente da prima di Firenze, essendo stato costruito, nella sua prima architettura, dagli antichi romani.

Inoltre il ponte di S. Trinita gli ricordava fatti antichi, come quello del nobile Ricoverino della famiglia dei guelfi bianchi De’ Cerchi che, proprio lì, il giorno di Calendimaggio del 1300, in una zuffa ebbe mozzato il naso da un masnadiero della famiglia rivale dei guelfi neri Donati.

Eventi storici lo riportavano con la memoria ai tempi del liceo.

Superato il ponte, infine giungeva al suo appartamento vicino la Chiesa di San Romano. A casa passava le sere leggendo i suoi amati libri d’arte, e la domenica consumava la suola delle scarpe girovagando tra chiese e musei per le strade di Firenze. Questa era la vita semplice che Andrei conduceva.

Un giorno, in libreria, un signore molto distinto e ben vestito entrò e si mise a conversare con il sig. Baldi. Era il Dott. Norberto Gaddi, alto funzionario della Galleria degli Uffizi.

Dopo aver indugiato un poco con il proprietario del negozio, Gaddi si avvicinò ad Andrei dicendogli di aver sentito parlare della sua perizia in materia di arte e gli chiese se avesse potuto aiutarlo. Cercava un dipinto rinascimentale raffigurante il tema dell’Annunciazione.

Chiedeva il suo consiglio da intenditore, perché gli indicasse quale Annunciazione, tra le tante, oltre ad essere mirabilmente eseguita, fosse la più rifulgente dello splendore rinascimentale.

Gli fece notare di non avere fretta e quando l’avesse trovata, lo pregò di portargliela al suo studio, agli Uffizi, dove con l’occasione, se avesse voluto, avrebbe potuto visitare il museo in forma privata.

Si lasciarono con questo strano appuntamento.

Il sig. Baldi che aveva assistito al colloquio, disse ad Andrei che quella visita non appariva casuale, perché Gaddi nella sua qualità di funzionario degli Uffizi, non avrebbe avuto difficoltà ad interpellare uno dei tanti esperti del museo.

Si trattava, senza dubbio, di un piccolo esame atto a saggiare la competenza del giovane e se Andrei lo avesse superato, forse sarebbe stato proposto per un impiego.

Quella notte Andrei non dormì. Pensò a quell’incontro e si convinse che Baldi avesse ragione, ma il compito non era facile.

Gaddi aveva precisato che il dipinto doveva essere rinascimentale e il Rinascimento in pittura parte dagli inizi del trecento, per arrivare sino al tardo cinquecento, agli esordi dell’arte barocca.

Di scuole ce ne erano tante: senese, fiorentina, veneta, ferrarese, fiamminga, tedesca e poi nel cinquecento si aggiungono quella romana e spagnola e infine c’è la Chiesa, che con le sue diocesi sparse ovunque rappresenta un’altra Europa nell’Europa.

Sino alla fine del cinquecento, prima dell’avvento del luteranesimo, del calvinismo e le altre confessioni protestanti, il culto della Vergine era altissimo e di opere su di Lei e sull’Annunciazione in particolare ce ne sono in grande quantità.

Andrei cominciò a sfogliare un’infinità di libri, ma inutilmente. Nessuna opera era di sua completa soddisfazione.

Provò allora a dilatare il periodo di ricerca estendendolo anche al seicento, sino a dopo il Caravaggio, considerando un eventuale lavoro di quel periodo come frutto del riflusso rinascimentale, che aveva imperato per circa trecento anni e non tardava ancora a spegnersi agli albori del seicento, ma sempre senza risultato.

Nella ricerca non fece più riferimento a date e periodi e cominciò, pur di trovare un lavoro significativo, a passare in rassegna tutto lo scibile artistico figurativo.

Andrei si concesse dieci giorni per la sua ricerca e il nono giorno, alla vigilia della scadenza, in un libro sulla pittura americana, fu colpito dall’ Annunciazione di Henry Ossawa Tanner, un artista afroamericano vissuto tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento.

Era l’opera che andava cercando. Non aveva dubbi.

L’indomani, il decimo giorno, si recò dal Dott. Gaddi. All’ingresso chiese di lui ad un usciere. Questi lo mandò al primo piano al quale si accedeva attraverso un’ampia scalinata.

Andrei si sentiva triste e insicuro e ad ogni gradino che saliva cresceva il suo stato di apprensione.

Alla sommità della scala, un altro usciere gli indicò la porta dell’ufficio, distante appena una decina di passi, che gli sembrarono però dieci chilometri, tanto era in ansia.

Bussò e gli fu risposto di entrare.

"Buongiorno dott. Pomaceski, come sta?"

"Bene dottore, grazie! E lei?"

"Grazie, sto bene anch’io, la prego si accomodi." E indicandogli un salottino in un angolo della grande stanza, Gaddi lo invitò a sedersi.

"Allora, ha potuto fare qualcosa per me? E’ riuscito a trovarmi un’opera come le avevo chiesto ?" Fu la prima domanda del funzionario.

"Ahimè dottore, credo di non esserne sicuro. Non ho trovato alcuna opera che possa soddisfare le sue precise richieste.

Ho guardato ovunque nell’ambito della pittura rinascimentale europea, non escludendo alcuna scuola, senza riuscire a trovare niente, però iniziando la ricerca, come è logico che dovessi, dal primo trecento, ho addirittura allargato il periodo storico anche al seicento e poi al settecento e all’ottocento.

Ho pensato che se avessi notato un’Annunciazione come io la intendo, ella avrebbe certamente compreso i motivi della mia scelta, anche se non in linea con la sua richiesta.

L’opera l’ho trovata nella pittura americana dell’ottocento.

Il pittore è Henry Ossawa Tanner."

Da una cartella che aveva con sé, Andrei estrasse la stampa e la porse a Gaddi, il quale la osservò molto attentamente e limitandosi a dire che non la conosceva, senza fare alcun commento, chiese perché avesse optato per quell’opera e quali ne fossero le motivazioni.

Andrei timidamente raccontò la sua storia.

"Vede dottore, dapprima sono partito da Giotto e dalla sua scuola che segna l’inizio del Rinascimento toscano, ma di questo pittore i dipinti sono ancora mancanti di prospettiva, caratteristica peculiare e rappresentativa della pittura di quel periodo.

Scartai pertanto questo eccelso artista, non ritenendolo abbastanza rinascimentale.

Lo stesso fu per Simone Martini, che con la sua Madonna schiva e vergognosa, opera seppur mirabile, aveva eseguito un dipinto denso di ieraticità e dolcezza, ma quell’oro, troppo evidente, richiamava ancora, in maniera decisa, il gotico internazionale, e anche quest'opera non mi sembrò idonea.

Di più forse, si avvicinavano le Annunciazioni del Beato Angelico, che esprimono una serenità ed una compostezza tutta francescana, pregna di misticismo, ma le rappresentazioni del Frate sono tutte circoscritte in anditi chiostrali che non ritenni calzanti con quell’evento. Quelle architetture denotano una datazione troppo precisa ed io invece ho sempre pensato che l’Annunciazione non debba recare richiami temporali, bensì dovrebbe, secondo me, essere un fatto a sé, fuori da ogni datazione storica e per questo passai oltre.

Il grande Botticelli, con la sua innata magniloquenza, ci rende l’immagine di una Vergine esageratamente elegante con i suoi serici vestiti e le ricche suppellettili che la circondano, che stonano decisamente con la modestissima reale condizione della Vergine Maria, umile ragazza.

L’annunciazione di Leonardo del 1472, esposta proprio qui nel suo museo, è stupenda. In essa si ravvisa tutta la meravigliosa arte del Da Vinci, ma l’insieme è falso, o almeno molto improbabile. La Madonna, seduta, in postura eretta, troppo altera, troppo visibilmente elegante e raffinata, con le chiome abboccolate e le sue belle mani affusolate, dà l’impressione di ricevere una persona qualunque, non un Legato di Dio, verso il quale si dovrebbe assumere un atteggiamento di umiltà e perché no anche di sottomissione. Inoltre quel palazzo in stile tipicamente quattrocentesco con gli spigoli rivestiti in pietra grigia serena, rende troppo l’immagine di una villa medicea, di una reggia, assolutamente non conforme alla realtà storica e quel giardino con gli alberi cuneiformi, ci trasporta in una landa settentrionale, quando invece sappiamo che tutto avvenne in Medio Oriente. E’ un’opera magnifica, meravigliosamente dipinta, anche se, come lei ben saprà, errata nella prospettiva del braccio sinistro, e il volto della Madonna è di una bellezza incomparabile, come solo Leonardo sarebbe stato in grado di fare, ma non vera, è anacronistica e non trasuda alcuna religiosità.

Ogni pittore, in quest’opera, si era espresso con l'intento di rappresentare l’evento nella sua intrinseca idea.

Si era sempre cercato di raffigurare l’Annunciazione come l’annuncio in se stesso, in cui le due figure, quella dell’Angelo annunciatore e quella della Vergine, recitano la loro parte in maniera emotivamente distaccata e puramente rappresentativa.

Ogni artista si era sempre e solamente preoccupato di ritrarre al meglio quell’evento, con dovizia di particolari e spesso, soprattutto nel Rinascimento, molto, forse troppo eleganti, senza mai tener conto della reale condizione sociale della Vergine.

La Madonna era una povera e semplice ragazza, di modestissima estrazione sociale, probabilmente anche incolta e allora perché ritrarla in atteggiamenti e ornamenti da grande dama, o come nel caso di Leonardo perché porla di fronte ad un leggio, non sapendo Lei, con ogni probabilità, nemmeno leggere?

Noi sappiamo che i pittori, soprattutto quando i dipinti venivano commissionati da famiglie reali, usavano le dame di corte come modelle e come tali, al massimo della loro eleganza le ritraevano. A questa ingenua regola di mecenatismo non si è sottratto nessuno dei pittori rinascimentali e nessuno ha quindi veramente inteso e carpito il significato più vero e profondo dell’evento, senza mai porre l’accento sulla condizione psicologica della Madonna, senza mai tentare di rappresentare il dramma interno che dovette compiersi nel cuore della Vergine.

Nessun artista si è posto il problema di come dovette sentirsi innanzi a quella inaspettata visione una ragazza, poco più che fanciulla, cui ora le si dice che nel suo grembo sta nascendo un figlio, addirittura il Figlio di Dio e lei è ancora vergine.

E così di pittore in pittore, passando anche per i fiamminghi, i veneziani, i romani, giunsi al 1615 con un dipinto del Caravaggio.

Qui, l’arte ha toccato una delle sue più alte cuspidi. L’angelo, ancora in volo, coperto solamente da un informe panno bianco, sovrasta la Vergine genuflessa, con le mani congiunte sul seno, ammantata da una modestissima tunica. La povertà e la semplicità della stanza con il letto in disordine e la seggiola impagliata, denotano una naturalezza al limite del realismo e la luce, quella tipica luce caravaggesca, conferisce alla scenografia un grande senso di drammaticità.

Gli elementi espressivi e raffiguranti, che convergono nella loro coralità a creare un’aura mistica e santa, trovano in questo dipinto la loro più alta rappresentazione e ne fanno una della Annunciazioni più belle in assoluto.

Un capolavoro di espressione ed interpretazione ineguagliabili, ma ancora non mi bastava. Il Caravaggio era andato molto vicino a quello che io andavo cercando, ma non ero ancora contento.

Mi domandai: "quale può essere lo stato d’animo di una qualsiasi donna dopo aver appreso una simile notizia e come potrebbe essere il suo atteggiamento?"

Certamente nel suo viso coglieremmo i segni dello sgomento, del terrore, dell’incredulità e della vergogna.

Dalla Vergine Maria ci si aspetterebbe di leggere sul suo volto lo sgomento per l’insolita e inaspettata apparizione, il terrore per la consapevolezza di essere la portatrice di un così alto Mistero, l’incredulità per la non facile comprensione dell’evento, e soprattutto la vergogna, sapendo che quel figlio non è, né potrebbe essere di Giuseppe.

Nella produzione artistica rinascimentale europea, non esiste un solo dipinto con tali caratteristiche.

Ma ecco che Tanner, un pittore americano moderno, ai più sconosciuto, nel 1898, interpreta il fatto biblico nella maniera in cui vorremmo fosse descritto.

Qui la Vergine è una povera ragazza che in un angolo, separato con una tela dal resto più grande della stanza col pavimento in mattoni coperto da un misero tappeto, seduta sul suo letto disfatto, le mani raccolte, adagiate sulle gambe, un' espressione nel volto che racchiude appunto sgomento, terrore, incredulità e vergogna guarda in direzione della lama di luce che simboleggia l’angelo, cui fanno da contraltare al lato opposto una candela ed una brocca di coccio.

Così doveva essere la casa della Vergine e così doveva essere il suo atteggiamento.

E’ questa un’opera densa di realismo e verità, misticismo e commozione e forse per la prima volta, osservando l’Annunciazione, proviamo un sentimento di profondo amore e carità per quella fanciulla che sicuramente, se avesse potuto scegliere, avrebbe volentieri ricusato quel grande onore.

L’opera di Tanner è perfetta, scevra di inutili orpelli elegiaci, essenziale, completa, come un pensiero zen, dove nessuna parola è di troppo e tutto all’unisono conduce alla compiutezza, alla perfezione.

Tanner ci parla con questo linguaggio e alle sue parole noi non possiamo rimanere insensibili e soprattutto non possiamo guardare il quadro, con quella freddezza esegetica con cui solitamente osserviamo le opere d’arte.

Davanti a quella Madonna ci si commuove, si piange, ci si sente felici, perché si è entrati nell’anima dell’artista, si è compreso il suo messaggio intimo e spirituale, si è dialogato con un altro essere umano. Perché solo nel dialogo è possibile trovare la vera umanità e la gioia per essere stati partecipi dell’unico sentimento che accomuna tutti gli uomini: l’amore.

Vede, dottor Gaddi, pur rendendomi perfettamente conto di non aver assecondato la sua richiesta, se lei mi chiedesse ancora di trovarle una raffigurazione dell’Annunciazione, nonostante le sua precisa richiesta di un’opera rinascimentale, non potrei proporgliene un’altra, perché ho sempre pensato e ancora lo penso, che il lavoro dell’artista, di qualunque arte si tratti, debba prescindere da formule e stilemi confacenti a correnti stilistiche o storiche, ma al contrario, debba apparire puro e immutabile, all’atto della sua luce increata, incontaminato da elementi temporali e fermo nella sua precisa e definita concettualità.

Di qualunque soggetto, diverse ed eterogenee potranno essere le interpretazioni, ma soltanto quelle che ne conterranno gli elementi cromosomici, dovranno essere prese in considerazione, perché un concetto, nella sua fenomenologia, potrà assumere mille forme, alcune financo apparentemente diverse, ma dovrà recare in sé sempre e ovunque la sua verità, che in quanto tale, non potrà essere che unica.

Tanner, a mio avviso è il solo, che sia riuscito a rappresentare il dramma in maniera compiuta e perfetta."

"Non so bene cosa risponderle, dottor Pomaceski. Vorrei entrare in diatriba dialettica con lei, perché ciò darebbe un senso più ampio a questa nostra conversazione.

Mi piacerebbe opporre delle confutazioni alla sua concezione di Annunciazione, sia per quanto riguarda la parte strettamente artistica che quella più ampiamente semantica, ma mi trovo ad essere indiscutibilmente in linea con il suo pensiero e ciò inibisce la mia capacità critica.

Penso invece, contrariamente a lei e forse questo è l’unico, debole, motivo di dissenso, che la sua interpretazione di quanto da me propostole, abbia toccato le corde giuste e sia stata la sola risposta che in cuor mio attendessi. Una risposta ferma, soggettiva e personale che denota una sensibilità che trascende l’elemento artistico, per arrivare ad una spiritualità onnicomprensiva dei fatti e dei sentimenti, che sono alla base della nostra vita di esseri umani, consapevoli di quanto i moti dell’anima siano ben più importanti di ciò che tocca i nostri sensi.

Come avrà facilmente intuito, la mia richiesta, voleva essere un piccolo saggio sulle sue capacità e conoscenze artistiche e poiché da questo nostro incontro è emerso non solo che lei abbia le dovute cognizioni in materia, ma che oltretutto, sembra lei aver avuto in dote anche una cospicua sensibilità spirituale, mi sento sicuro di dirle, sem-pre che lei voglia, di poterle offrire una lavoro consono al suo livello, presso il mio museo.

Mi venga a trovare quando vorrà. Discuteremo i dettagli in merito.

Ora, sarà bene che la lasci e mi metta a lavorare, voglia scusarmi.

Arrivederci, dottor Pomaceski!"

"A presto, dottor Gaddi!"




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