Brahmsta | Elemosina
- Belisario Righi
- 7 gen 2021
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 11 mar
DI BELISARIO RIGHI
Fotografia di Carlotta Righi
Termine buddista, il cui significato è semplice: elemosina (beg).
Nella lingua italiana il termine elemosina rimanda alla sua origine latino-cristiana: eleemosyna, che a sua volta deriva del greco eléemon (compassionevole).
La parola è dunque densa di significati. In essa c’è l’atto del chiedere e della compassione che il postulante suscita nell’animo di chi si sente rivolgere la richiesta, ma spesso come tante altre parole, risulta svuotata di ogni suo profondo valore, divenendo una mera pratica che in sé nulla reca del suo semantico significato.
Nella foto, sfilano davanti al questuante varie persone e almeno apparentemente, di diversa estrazione sociale. Vediamo alla sinistra dei borghesi che dai loro shopper sembrano abbiano fatto degli acquisti, al centro tre persone di basso ceto sociale che stazionano sul ponte, senza alcuna occupazione e infine sulla destra una coppia di viandanti, uno dei quali è un prete buddista che incrocia una donna.
Situazioni indubbiamente diverse, sotto l’aspetto sociale, ma tutte mute alla richiesta dell’uomo che protrae la mano verso il vuoto, in cerca di un obolo.
Non c’è compassione verso il mendicante, né si sente la necessità di donare. Ognuno è preso dai propri problemi e procede nella sua strada incurante del prossimo e delle sue istanze.
La globalizzazione e l’appiattimento dei valori umani ha raggiunto inesorabilmente anche questa parte di mondo, ove la solidarietà umana dovrebbe essere più sentita, perché la condizione generale di precario benessere imporrebbe un comportamento di mutua convivenza, eppure ogni traccia di altruismo sembra scomparire dalle azioni umane.
Ma non è la mancanza dell’offerta che ci colpisce, sebbene, almeno da parte di qualcuno dei passanti, un piccolo dono potrebbe essere elargito.
Quello che ci fa trasecolare è sì l’indifferenza, l’assoluta mancanza di umanità, nel non regalare al povero mendicante, nemmeno uno sguardo con cui riscaldargli almeno un poco l’anima e farlo sentire uomo tra gli uomini, ma soprattutto è l’invisibilità del bisogno, la negazione del fatto, meglio definita da Stanley Cohen come diniego psicologico, chiudendo gli occhi, tenendo il fatto convenientemente fuori dalla vista, permettendo che qualcosa sia allo stesso tempo conosciuto o sconosciuto.
Si auspicherebbe un mondo con maggior senso d’umanità, dove gli appetiti egoistici possano lasciare posto ad un più elevato concetto di fratellanza, ma purtroppo pochi di noi ormai conoscono quella direzione e il nostro viaggio ci conduce sempre più lontano dall’essere umano.
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