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Funzione della fotografia umanitaria

Aggiornamento: 11 mar



Estratto dalla Tesi di Laurea in Fotogiornalismo


DI CARLOTTA RIGHI





IL FEAR-APPEAL NELLE CAMPAGNE DI SENSIBILIZZAZIONE VERSO I GRANDI PROBLEMI SOCIALI.


Dalla disamina di alcune campagne di beneficenza e di sensibilizzazione verso problematiche d'importanza mondiale, ovvero verso l'insieme dei problemi che si riferiscono a una determinata questione d'interesse universale, si cercherà di analizzare l’efficienza delle immagini che trasmettono paura, usate per tali campagne.

Quotidianamente, a ogni ora del giorno, siamo posti davanti a immagini di sofferenza.

I media ci bombardano con immagini di terrore, ci propinano scene di calamità naturali, disastri ecologici, teatri di guerre, innescando nelle nostre menti l'assurdità concettuale che al di fuori delle nostre case non ci sia altro che sofferenza e atrocità, partendo da una delle prime e più vecchie regole dell'Informazione, che la notizia positiva non stimola interesse quanto quella negativa. Le morti ormai sono svuotate di ogni elemento umano, le stragi rappresentano solamente il numero delle vittime, la fame è diventata ovvia, le malattie sono trattate come cospirazioni e le guerre vanno avanti incessantemente, producendo disastri e morte. Tutto è ridotto a un atto dovuto. Tutto rientra in una logica scontata e improntata al fatalismo e ormai sfogliamo il giornale con la stessa enfasi con la quale si sfoglia un ricettario.

Le immagini dell’orrore hanno una valenza etica, poiché ci rendono consapevoli dei fatti, ma affinché questo si realizzi il fotoreporter, nell’ utilizzo della fotografia a scopo documentativo e umanitario, dovrà entrare in empatia con il soggetto che sta fotografando, costituendovi una relazione intensa, tale da creare una sensazione di comunione spirituale e in particolare di conoscenza.

La professionalità del fotografo però troppo spesso oltrepassa l’umanità del suo sguardo interiore, instaurando una linea di demarcazione con il soggetto e questo pone l'autore del reportage, al momento della documentazione, in una condizione di distacco rispetto all'evento fotografato, facendo sì che quell'empatia, assolutamente indispensabile nel caso d'immagini a sfondo umanitario, tra fotografo e fotografato, tra il sofferente e il non sofferente, venga quasi a mancare.

La stessa cosa si può dire dell’osservatore, di chi fruisce dell’informazione.

Cos'è che rende allora l'osservatore più attento e partecipe agli accadimenti? L'efficacia delle immagini o la strategia usata dalla campagna di sensibilizzazione? E se invece c'è indifferenza, questa è forse dovuta al fatto che l'immagine non è abbastanza forte da rilevarne la causa?

Esaminando le reazioni dello spettatore davanti all’orrore, s'individuano contemporaneamente due stati d’animo: compassione e indifferenza.

La strategia di comunicazione è il punto di partenza con il quale le campagne di sensibilizzazione dovrebbero impostare il loro messaggio, adottando meccanismi morali con cui improntare un rapporto di fiducia tra relatore e pubblico.

Il compito delle campagne di sensibilizzazione non è compito facile però, laddove la scelta dell’immagine giusta racchiuda in sé due necessità apparentemente in contraddizione, rappresentate dalle riflessioni etiche e dalle opportunità commerciali del dover stimolare l’osservatore, e se gli scopi non saranno entrambi raggiunti, ciò significherà il fallimento e l’inefficienza della strategia.

Pertanto, compito della campagna di sensibilizzazione, è individuare il giusto tipo di tattica da usare per il raggiungimento del suo scopo.

Questo testo si concentrerà, da una parte, sugli aspetti psicologici degli appelli di carità che potrebbero interferire con le reazioni del pubblico, come l’efficienza delle motivazioni nel promuovere i vari problemi e l’importanza di quei fattori di attrazione sociale quando si costruisce una campagna di sensibilizzazione e dall'altra si cercherà di individuare l'uso d'immagini appropriate, che siano altresì supportate da articoli esplicativi e chiarificatori, per evitare disinformazione e fuorvianza.

Per il nostro studio, prenderemo in considerazione due grandi problemi interna-zionali che interessano il genere umano: l'AIDS e la fame nel mondo, due gravi afflizioni, colpevoli di genocidi d'indicibile portata.

Parola terribile che evoca dolore, sofferenza, peccato, colpa. Purtroppo, mentre dolore e sofferenza dilaniano lo spirito e il corpo del malato, non sempre al sofferente sono ascrivibili il peccato e la colpa, perché la sindrome spesso non è causata dai nostri comportamenti e la colpa e conseguentemente il peccato sono da ricercarsi altrove.

Da quando, verso la metà degli anni '80 del secolo scorso, l'AIDS fu fatto conoscere al mondo, milioni di articoli e fotografie sono apparsi sui giornali e network di tutto il mondo, con l'unico scopo di ritrarre gli effetti devastanti dell'HIV, virus responsabile dell'infezione, dichiarando, in un primo momento, che la sindrome colpiva gli omosessuali. Si pensò che la malattia discriminasse il genere umano, riguardando solamente gli uomini non eterosessuali e questo fu il primo crudele e disastroso inganno, dovuto forse alla scarsa conoscenza che sin allora si aveva della malattia, ma pur sempre di un inganno si trattò. In seguito si accertò che non erano solamente gli uomini a esserne colpiti, ma anche le donne, i bambini e alcune persone che avevano subito trasfusioni di sangue non testato.

Solo allora si capì quanto il problema fosse di più ampia rilevanza e ahimé riguardante tutta la popolazione mondiale, ma si continuò comunque a pensare che il sesso fosse la causa di quella che allora fu definita la peste del ventesimo secolo.

Per diversi anni, questi continui e costanti aggiornamenti sulla trasmissibilità della malattia indussero il mondo intero ad assumere un atteggiamento totale e spesso anche irrazionale di difesa verso l'AIDS e colpevole, almeno in parte, di questa disinformazione fu la fotografia, che per la sua immediatezza, è spesse volte più efficace della carta stampata.

Le foto che ritraggono malati in assoluta indigenza, quali quelli di popolazioni del terzo mondo, inducono a pensare che la povertà sia la causa principale della scarsità di cibo, ma oggi sappiamo che questa è soltanto una concausa, mentre le cause vere discendono dalla totale mancanza di politiche d'industrializzazione mirata.

La Fotografia Umanitaria che dovrebbe interpretare le istanze del genere umano e diffonderne le immagini a riguardo, è troppo spesso stigmatizzata ad eventi e situazioni particolari che spingono l'osservatore a farsi delle erronee concezioni sulla materia. Un bambino smagrito sino all'inverosimile, con il ventre gonfio per denutrizione, sporco e tormentato dagli insetti, ci mostra solamente gli effetti devastanti della fame e ci impietosisce, ma dopo il nostro inutile, virtuale momento di tristezza, la nostra vita continua come prima e purtroppo il bambino, inevitabilmente, se non s'interverrà, morirà.

Allora è d'obbligo chiedersi se sia giusto, sotto l'aspetto informativo, divulgare foto-grafie che non mettono in risalto le cause vere, ma si limitano solamente a rappre-sentarne l'effetto.

L'intento della nostra tesi è mettere in risalto quelle che consideriamo negatività di esposizione, delineando un profilo di ottimizzazione di una campagna di sensibilizzazione.




IL FEAR-APPEAL


Dalla lettura dei testi che riguardano la strategia del fear-appeal, emergono continuamente parole e locuzioni, che definiremo chiavi, le quali a volte strettamente legate le une alle altre, altre volte invece in contrapposizione tra esse, ci inducono a concetti specifici, dal cui amalgama e soprattutto dalla loro mediazione reciproca, discende una chiara connotazione dell'effetto-paura generato da immagini di terrore psicologico. Su tale connotazione fondiamo la nostra personale teoria, circa la validi-tà dell'uso di determinate fotografie e sulle conseguenze dirette che ne scaturiscono, conducendo lo spettatore ad atteggiamenti di azione o non-azione.

Le chiavi principalmente ricorrenti, enunciate alla rinfusa, sono: minaccia, risposta alla minaccia, effetto persuasivo, cambiamento comportamentale, percezione, stato emozionale, politica della pietà, donazione, informazione, indignazione, diniego, saturazione. Seguendo processi psicologi differenti, attraverso le diverse combinazioni possibili, si può giungere a molteplici risultati, anche, tra essi, antitetici.

Da personali, soggettive concatenazioni delle chiavi, descriveremo come giungere a risultati improntati al pragmatismo (azione) o all'immobilismo (non-azione).


Azione

Informazione - Minaccia - Indignazione - Percezione - Stato emozionale - Effetto persuasivo - Risposta alla minaccia - Cambiamento comportamentale - Politica della pietà - Donazioni.


Non-azione

Informazione - Minaccia - Indignazione - Stato emozionale - Saturazione - Diniego.

Le sequenze sopra esposte ci forniscono l'indicazione che una campagna di successo, necessariamente, prevede percorsi e tempi più lunghi rispetto ad un'altra che abbia esito negativo e questo perché i processi psicologici che innescano un cinematismo realizzativo sono particolarmente complessi.

Riguardo a una determinata situazione, l'accettazione comporta obbligatoriamente una serie di considerazioni, che presuppongono diversi stati emozionali che devono essere comparati e valutati, al contrario, una risposta di diniego, molto spesso è di rifiuto aprioristico e pertanto non implica alcun processo psicologico.


Analisi dell'azione

Osservando una fotografia che contiene elementi di terrore (malati terminali di AIDS, bambini malnutriti e simili), prendendo atto dell'informazione che ci viene proposta e la conseguente minaccia che essa comporta, immediatamente, come prima reazione ci sentiamo indignati per quello che stiamo osservando.

La percezione del male, con tutta la sua espressa negatività, ci induce in uno stato riflessivo, nel quale il messaggio ricevuto ci convince della gravità dell'evento, sollecitandoci una risposta che sia propedeutica alla risoluzione del problema. A questo punto il nostro stato emozionale si sdoppia in due diramazioni: una interna e perso-nalistica, un'altra esterna ed altruistica.

Nel primo caso, per non incorrere nel pericolo che la minaccia ci ha presentato, modificheremo, onde evitarlo, il nostro atteggiamento comportamentale, nel secondo caso, ci adopereremo perché, attraverso la nostra azione tale pericolo possa essere allontanato dai nostri simili, o almeno, laddove fosse già presente, cercare di attenuarlo e combatterlo. E qui, al raggiungimento di questo stadio emozionale, s'innesca il desiderio di contrastare il problema con fattività, attraverso azioni umanitarie, quali l'assistenza ai bisognosi, il volontariato e le donazioni in denaro.


Analisi della non-azione

Dopo aver preso visione della fotografia che ci offre uno spettacolo inquietante di terrore e di devastazione ed essere giunti allo stadio dell'indignazione, lo stato emozionale che potrebbe conseguirne è di saturazione psicologica nei confronti del messaggio ricevuto, perché ormai sono troppe le immagini di obbrobri cui siamo sottoposti e non fanno più presa nel nostro animo. Diciamo a noi stessi che di questi spettacoli non se può più, ne siamo quasi infastiditi e allora il rigetto è conseguente e il diniego automatico.


Conclusione

Il fear-appeal è uno strumento potente e di presa immediata, ma il suo uso deve essere adottato con moderazione e non deve essere né indiscriminato né generalizzato, non deve in maniera assoluta fare leva solo sulla sensibilità dell'osservatore, deve altresì entrare in empatia con l'establishment organizzativo, al fine di creare un'omogeneità di attuazione nelle varie fasi della campagna di sensibilizzazione che sono: informazione e sensibilizzazione, modifica dei comportamenti, azione umanitaria (volontariato e raccolta di denaro).

Il messaggio fotografico, deve essere politicamente corretto e mai fuorviante. Non si devono rappresentare scene o azioni che suscitino false, o peggio ancora, trasversali interpretazioni del problema. La sensibilizzazione non deve essere mai impostata sul concetto di religione, perché le disgrazie prescindono dal credo religioso.

Non è sufficiente la pietà a promuovere una buona campagna. E' necessario che il messaggio contenga anche implicazioni di carattere economico. Senza denaro non si fa nessuna campagna, e per questo, come nel caso della fame nel mondo, indugiare troppo su immagini di denutrizione, è decisamente errato. La fame non si combatte con l'elemosina di un piatto di minestra, si combatte con una politica di sviluppo sociale programmatica e costante nel tempo.

Nel caso dell'AIDS è oltremodo indispensabile innescare, in certe sacche sociali, il concetto d'igiene, che troppo spesso è assente.




METODOLOGIA - SISTEMI DI ANALISI E D'INTERPRETAZIONE


Lo sviluppo del progetto enunciato nell'introduzione avverrà per stadi che saranno sviluppati in corso d'opera, avvalendosi di fonti riguardanti i temi: AIDS e FAME NEL MONDO.

Si cercherà attraverso l'analisi delle fonti di giungere a conclusioni che dimostrino la necessità di servirsi di elementi pertinenti e assolutamente confacenti ai temi proposti, prendendo in esame scritti, pubblicazioni di autorevoli esperti di settore e fotografie di fotografi professionisti e fotoreporter giornalistici, sfruttando fonti di informazione primarie e secondarie disponibili.

Nel caso specifico, dovendo argomentare su campagne di sensibilizzazione a determinati problemi sociali, si useranno soprattutto fonti secondarie, perché una campagna d'informazione prevede un progetto ben preciso e definito, al quale si addicono in modo particolare riferimenti costruiti appositamente e ponderati secondo una logica di attuazione atta a garantire il massimo impatto emotivo.

Il metodo usato sarà molteplice, dovendo servirsi di diversi sistemi di studio relativamente a documenti fotografici e documenti scritti, denotanti distonie, ambiguità d'interpretazione e incompletezza d'informazione dei fatti esposti.

Secondo i casi si useranno i seguenti metodi:

Metodo analitico. L'esame approfondito di un documento, al fine di rilevarne la peculiarità, ovvero le principali caratteristiche.

Si metterà in risalto, attraverso l'analisi di uno scatto fotografico, come si possa portare all'attenzione dell'osservatore un problema specifico, che sia parte di una più complessa problematica e come la modalità dello scatto abbia messo in luce una chiave interpretativa a discapito di altre possibili letture, magnificando o sminuendo un particolare concetto insito palesemente nel contesto e al tempo stesso, ignorare o mettere in risalto altre considerazioni che, pur non chiaramente raffigurate, conseguono naturalmente dall'esposizione fotografica.

Metodo comparativo. Il confronto tra due o più elementi, che esprimono il medesimo concetto, individuandone analogie e differenze.

Una fotografia e anche uno scritto contengono messaggi e notizie diretti al fruitore, il quale attraverso tali informazioni si formerà un concetto dell'evento modulato secondo i canoni dettati dall'autore del documento, ma due scatti fotografici o due scritti, riguardanti il medesimo contesto, messi a confronto, produrranno non necessariamente lo stesso effetto, perché realizzati diversamente. In tal modo due fotografie di analogo soggetto, creeranno stati emozionali diversi, come due articoli di giornali o addirittura libri che trattano il medesimo argomento formeranno, nella mente del lettore, concetti diversi, se la trattazione sarà stata condotta in maniera differente. Il metodo comparativo è il sistema più efficace per dimostrare che si può narrare dello stesso problema, ma ottenere risultati dissimili, a volte anche in netto contrasto tra di essi.

Metodo contraddittorio. L'analisi di documenti che, pur avendo lo stesso soggetto, si differenziano per qualità di enunciazione e per finalità proposte.

Due documenti aventi lo stesso soggetto, possono indirizzare il fruitore verso soluzioni, del problema esposto, totalmente dissimili, pur essendo la realizzazione di entrambi precisa e priva di errori e ben condotta, perché diverse sono state per gli autori le finalità che dovevano essere raggiunte. Mettendoli in contrapposizione si potranno evidenziare tali difformità e in taluni casi si potrà anche stabilire se uno dei due sia concettualmente errato, pur essendo perfetto nella forma. La forma di analisi contraddittoria è la più valida per mostrare come un argomento possa avere molte-plici maniere di essere trattato e giungere, in tal modo, a conclusioni diverse.



Elenco dei testi letterari oggetto d'analisi


Luc Boltanski- Lo spettacolo del dolore - 2000

Susan Sontag - La malattia come metafora: Cancro e AIDS

Ronald W. Rogers - Teoria della motivazione alla protezione - 1975 - 1983

Stanley Cohen - Stati di negazione - La rimozione del dolore nella società contemporanea - 2002

Martin Caparros - La fame - 2015

Kary Mullis - Articolo sull'AIDS


Elenco delle fotografie oggetto d'analisi



Fotografia I



Fotografia II



Fotografia III



Fotografia IV



Fotografia V



Fotografia VI




ANALISI DEI TESTI LETTERARI


Per la stesura dell'argomento che ci accingiamo a trattare, sono di fondamentale importanza i testi e gli articoli da prendere in esame. La letteratura mondiale e il giornalismo internazionale, in questo senso ci offrono innumerevoli spunti, ma per meglio identificare le fonti da prendere in considerazione è necessario dare, sia pure molto brevemente, un cenno sul modo, per noi più esatto, di impostare una cam-pagna di comunicazione sociale e più precisamente definirne gli obiettivi che, legati l'uno all'altro, si suddividono in un obiettivo primario e due obiettivi di finalità.

L'obiettivo primario è rappresentato dalla necessità di informare e sensibilizzare il pubblico intorno ad un determinato argomento d'interesse collettivo.

La consapevolezza è il primo decisivo passo prima di imboccare qualsiasi direzione.

Primo obiettivo di finalità è la volontà di indurre la collettività ad assumere determinati atteggiamenti, modificando, se necessario, i propri, verso un problema.

Secondo obiettivo di finalità, il più concreto, è la raccolta di denaro per promuovere la ricerca scientifica e organizzare una serie di servizi che siano di supporto alle persone che vivono con quel particolare problema.

Lo studio di questi tre punti fondamentali ci ha guidato nella scelta dei testi e dei documenti fotografici scelti.


Fonti

Premio Nobel Kary Mullis - Articolo sull'AIDS;

Save the children - Foto I'm starving;




LA MALATTIA COME METAFORA DI SUSAN SONTAG


Analisi dell'opera


Il concetto che ogni evento sia suscettibile d'interpretazione e nasconda un significato recondito perché tutto deve avere una spiegazione, è errato.

Susan Sontag nel suo saggio Malattia come metafora, ci dice che non tutte le cose hanno un significato, tantomeno le malattie, perché non c'è niente di più primitivo che attribuire a una malattia un significato, poiché tale significato è inevitabilmente moralistico. Il termine metafora nasce dal concetto che talune malattie, negli anni, sono state ascrivili, spesso ad opera di illustri intellettuali, quali conseguenze di particolari stati d'animo. Si veda Thomas Man che nel suo romanzo La montagna incantata rende la tubercolosi, flagello d'indicibili proporzioni prima della scoperta della penicillina, come simbolo di raffinatezza, o addirittura come consunzione d'amore. Persino il cancro è stato psicologizzato, considerato frutto della repressione sessuale (Wilhelm Reich) e malattia di chi desidera la morte (George Groddeck). Così da malattia che insorge per specifiche condizioni organiche, il cancro diventa, per il malato, colpa della degenerazione della sua vita e, per traslazione, metafora della degenerazione politica e sociale. Su quest'aspetto metaforico della malattia sorge quella pseudoscienza che porta il nome di psicosomatica, dove si afferma, senza darne spiegazione, che le pene dell'anima si convertono in malattie del corpo.

Potenza delle metafore e dei simboli, magnificati soltanto dalla letteratura, certamente non dalla scienza!

Contro questa ignoranza, ammantata di estetica, si è battuta Susan Sontag invitandoci a demetaforizzare la malattia ed eliminarne tutte le interpretazioni, a sfondo colpevolizzante. I malati di Aids, oltre alla malattia, devono combattere l'immagine della malattia, che è più spaventosa e più difficile da vincere della malattia stessa. L'origine sessuale quando non omosessuale della malattia, il suo propagarsi tra i tossicodipendenti offre alla morale un terreno fecondo per il consolidamento dei suoi principi e l'esercizio dei suoi divieti.

L'Aids investe il costume, lo stile di vita, la forza dei sentimenti. Radicalizza la distanza tra salute e malattia, tra norma e devianza e contamina la malattia con la colpa, il peccato e la punizione come ultimo atto.

Giudizio critico.

Contro l'Aids è la ricerca scientifica che sta facendo i suoi passi avanti, ma contro l'immaginario qualcosa possiamo fare noi tutti, con un'informazione corretta che ci liberi dal frastuono dei messaggi dettati dall' ignoranza, dalla paura o dal compiacimento moralistico.

Purtroppo l'immaginario è più difficile da sconfiggere di quanto non lo siano le malattie, soprattutto quando ha scopo repressivo, usando la metafora e l'interpretazione per contenere le condotte e limitare la vita degli uomini.


Fonti

Susan Sontag - Scrittrice e intellettuale statunitense.

Wilhelm Reich - Psicoanalista austriaco, allievo di Freud.

Georg Groddeck - Psicoanalista tedesco, fondatore della medicina psicosomatica.




TEORIA DELLA MOTIVAZIONE ALLA PROTEZIONE (PMT) DI RONALD W. ROGERS


Analisi dell'opera


Analizzando la campagna di sensibilizzazione contro il fumo realizzata dall'OMS, in cui si ricorre senza parsimonia al fear-appeal, illustreremo come Ronald Rogers abbia elaborato una sua teoria riguardo l'utilizzo di tale strumento.

Una delle strategie più utilizzate per ridurre il consumo di sigarette è inserire avvertenze efficaci per la salute su tutte le confezioni dei prodotti del tabacco, mediante messaggi persuasivi per comunicare le conseguenze negative di un comportamento non salutare, che, suscitando paura, portano ad un cambiamento comportamentale.

Tipicamente i fear appeal hanno due componenti:

la minaccia;

la risposta raccomandata.

La minaccia del messaggio delinea le conseguenze negative di un determinato comportamento (il fumo uccide). La risposta raccomandata descrive invece i comportamenti che bisognerebbe attuare per evitare la minaccia (il tuo medico e il tuo farmacista possono aiutarti a smettere di fumare).

Tra il 1950 e il 1960, negli USA, alcuni studiosi si occuparono di fear appeal elaborando il Drive Model, che propone una relazione tra l’attivazione di paura e l’effetto persuasivo.

In seguito nel 1970 Leventhal propose il Modello delle Risposte Parallele nel quale la paura non causa l’effetto persuasivo, ma è solo associata ad esso, in forma parallela. Leventhal argomentò che, in risposta ai messaggi sui rischi di salute, avvengono due processi distinti: il processo di controllo della paura e il processo di controllo del pericolo. Il processo di controllo del pericolo è un processo nel quale il soggetto analizza le alternative comportamentali possibili e ne soppesa i costi e i benefici. È guidato dalle informazioni durante il quale il soggetto pensa al pericolo e ai modi per fronteggiarlo, attuando cambiamenti comportamentali. Nel 1975 Ronald Rogers, riprendendo lo studio di Leventhal focalizzò la sua attenzione sulla parte del controllo del pericolo del Modello delle Risposte Parallele di Leventhal, esplorando le reazioni cognitive delle persone ai messaggi sui rischi di salute. Complessivamente questo modello, chiamato la Teoria della Motivazione alla Protezione (PMT), riveduto nel 1983, fu il primo a identificare le componenti dei messaggi persuasivi:


· probabilità che la minaccia accada;

· gravità del danno;

· efficacia delle risposte raccomandate nell’allontanare la minaccia;

· stimolo dell’auto-efficacia.


Egli dichiarò che queste componenti dei messaggi portano ai seguenti processi cognitivi o percezioni corrispondenti:


· percezione della propria vulnerabilità alla minaccia;

· percezione dell’intensità della minaccia;

· percezione dell’efficacia della raccomandazione;

· percezione della propria auto-efficacia.


Nella versione riveduta e considerata definitiva della PMT del 1983, Rogers identifica due valutazioni: la valutazione disadattiva della minaccia (chiamata disadattiva perché porta a diminuire la motivazione a proteggere se stesso) e la valutazione delle strategie di coping (o valutazione adattiva della minaccia).

Per quel che riguarda la valutazione disadattiva della minaccia, Rogers argomentò che le percezioni di gravità e di vulnerabilità sono dedotte da qualche premio che viene dall’esecuzione di un comportamento pericoloso, non salutare. Ad esempio, se ci si sente vulnerabili al cancro ai polmoni e si considera il cancro una grave minaccia, ma si sente che i premi del fumo, come il ridurre l’ansia, il mantenere un basso peso corporeo, sono più forti della minaccia, allora si continuerà a fumare e ad esporre se stessi al rischio di cancro ai polmoni, ciò che Rogers considera una risposta disadattiva. Invece, per quel che riguarda il processo di valutazione delle strategie di fronteggiamento (coping), Rogers dice che quando le persone ritengono che le risposte efficaci e i pensieri di auto-efficacia siano più forti dei sacrifici di esecuzione del comportamento raccomandato, allora s'impegnano in risposte adattive che le proteggono davanti ad una minaccia per la salute. Ecco le interazioni proposte dalla PMT: l’aumento della valutazione della minaccia (le percezioni di gravità e vulnerabilità superano d’importanza le ricompense del fumare) con alte condizioni di valutazione delle strategie di fronteggiamento (le percezioni della risposta efficace e dell’autoefficacia superano d’importanza i sacrifici) porta le persone ad impegnarsi nei più alti livelli di comportamenti adattivi. Viceversa un aumento della valutazione della minaccia associato a basse condizioni della valutazione delle strategie di coping (i sacrifici superano d’importanza le percezioni di auto-efficacia e delle risposte efficaci) porta le persone a impegnarsi nei più alti livelli di comportamento disadattivo.

In conclusione, l’importante caratteristica che riguarda la PMT è l’enfasi sui processi cognitivi e la motivazione alla protezione, piuttosto che sui processi emozionali suscitati attraverso la paura. Rogers propose che l’adesione alle risposte raccomandate non fosse mediata da un emozionale stato di paura, ma piuttosto il risultato dell’aumento della motivazione protettiva stimolata dai processi cognitivi di valutazione.

Giudizio critico.

Complessivamente la PMT codifica ottimi sistemi di comportamento, avendo identi-ficato le componenti dei fear appeal e avendo chiarito la parte del controllo cognitivo del pericolo descritta da Levanthal, prevedendo le condizioni in cui fear appeal funzionano; ovvero, quando le percezioni di gravità, suscettibilità, risposte efficaci ed auto-efficacia sono alte, le persone appaiono accettare le raccomandazioni del messaggio, creando cambiamenti negli atteggiamenti, nelle intenzioni e nei comportamenti.


Fonti

Ronald W. Rogers - Psicologo sociale statunitense




LO SPETTACOLO DEL DOLORE DI LUC BOLTANSKI


Analisi dell'opera


Il libro argomenta intorno alla questione umanitaria sia dal punto di vista filosofico-antropologico e sia da quello sociologico-politico, talora mantenendo distinte queste due prospettive e talora intrecciandole.

Il lavoro si compone di tre parti.

La prima, intitolata Il problema dello spettatore, dove sono presentati i propositi dell'autore e la sua posizione, suggerendo una chiave di lettura della questione umanitaria come parte essenziale del dibattito pubblico attuale, e propone il recupero della politica della pietà, come tentativo di comprensione del problema del male attraverso la comunicazione di immagini e informazioni attraverso i media. La seconda parte ripercorre le tre topiche in cui si è espressa la politica della pietà, intendendo per topica appunto la figura retorica di un'argomentazione letteraria:

- della topica della denuncia, il cui punto di partenza può essere rintracciato in Rousseau;

- della topica del sentimento, presente nel romanzo tra Sette e Ottocento;

- della topica estetica, che trova esponenti in Nietzsche, Sade e Baudelaire. La terza parte affronta in modo diretto la crisi della pietà, che la distanza produce ma al tempo stesso rende necessaria, e ci propone una via realistica di impegno per il cittadino comune alle prese con il dilemma dell'azione adeguata al proprio orientamento di valore. Nel complesso, Boltanski si interroga circa la legittimità di una nuova politica della pietà nell'età contemporanea, contrassegnata da un eccesso di informazione e dalla conoscenza generalizzata delle sofferenze. La prima questione che merita di essere discussa è di carattere teorico e riguarda il posto che ricoprirebbe una politica della pietà. In tale ambito il ricorso allo spettatore serve a Boltanski per dare effettivo seguito a una sua duplice esigenza: da un lato che il soggetto spettatore possa farsi oggetto egli stesso di riflessione nella comunicazione ad altri, assimilandosi in quanto oggetto alla condizione dell'infelice; dall'altro che egli possa assumere consapevolezza di un obbligo di agire che non nasce solo da un mera reazione allo spettacolo del dolore, ma anche quale risposta dettata dalla propria coscienza morale. La figura dello spettatore è interessante, perché consiste nel fondare responsabilità sul riconoscimento di una comune conoscenza di situazioni, e quindi sulla forma-zione di una collettività informata, giustificando in tal modo la teoria del rapporto tra processi cognitivi e stati emozionali e questo ci riporta a Leventhal e alla sua Teoria della Motivazione alla Protezione. Dell'ampio lavoro di Boltanski, prenderemo in esame, riguardo agli stati emozionali derivanti dalla sofferenza, la seconda parte del suo lavoro, riguardante le topiche della sofferenza.


Rapporto tra media e azione. Immagini da usare per stimolare l'azione.

Il numero di eventi e situazioni di sofferenza di cui veniamo a conoscenza, attraverso i media aumenta di giorno in giorno, mentre la nostra capacità di azione ispirata da tali conoscenze non è così flessibile.

La nostra consapevolezza del destino altrui e la nostra capacità di influenzarlo non coincidono e considerata la scarsità dei messaggi che ci giungono, le nostre azioni effettive sulla condizione altrui, non sempre sono eticamente ispirate.

Non meraviglia, dunque, la facilità con cui si rinuncia all'impegno senza troppi tormenti morali: un rifiuto che sembra essere un passo razionale, una conclusione legittima derivante da una valutazione lucida di quanto sia possibile fare.

Le immagini dell'orrore ci colpiscono emotivamente e ci spingono a portare aiuto ai bisognosi, ma raramente ci spingono oltre l'aiuto economico. Il nostro impegno non si prodiga nella ricerca di una soluzione concreta del problema.


La sofferenza, psicologicamente si articola attraverso tre topiche fondamentali:

· topica della sofferenza;

· topica della denuncia;

· topica del sentimento.

Luc Boltanski si è soffermato su queste tre topiche, precisando che l’espressione topica deve essere rapportata ad una dimensione argomentativa e ad una dimensione affettiva, cercando di stimolare l'impegno collettivo attraverso le emozioni.


La topica della denuncia

Lo spettacolo di una sofferenza lontana induce uno spettatore, condannato all’inazio-ne, a provare indignazione. L’indignazione presuppone un nuovo orientamento dell’attenzione che si sposta dall’infelice al suo persecutore, il quale a sua volta può anch’egli essere considerato infelice, a causa delle sofferenze che gli vengono inflitte dalle accuse.

Perché una topica di denuncia non assuma quindi la forma di una controversia è necessario motivare e argomentare le diverse posizioni. L’accusa deve essere giustificata per mezzo di prove e deve comportare una ricerca della verità. Lo spettatore non può indugiare nell’emozione e fondare l’accusa concretamente.

Due sono le condizioni essenziali di questa topica:


1. l'atteggiamento d'indignazione;

2. l’osservazione fredda degli eventi.


La topica del sentimento

La seconda possibilità che si presenta allo spettatore che osserva la sofferenza altrui, è quella di provare intenerimento verso l'infelice.

Mentre la topica della denuncia si orienta, come si è detto, in direzione di un'in-chiesta, attivando un concetto di giustizia in cui gli stati interiori non possono essere oggetto di verità, quella del sentimento si articola nei substrati dell’interiorità, permettendo all'osservatore di avvertire quello che il sofferente prova intimamente nel proprio cuore. Lo spettatore apre il suo cuore per accogliere la sofferenza dell’infelice e condivide la sua emozione con altre persone, cercando di commuoverle attra-verso il racconto di ciò che ha commosso lui, trasformando in tal modo la sua emo-zione personale in emozione collettiva.

Il punto debole di questa topica è l’importanza accordata alle emozioni, che, oltre a poter dar luogo ad una molteplicità di interpretazioni, possono risultare screditate, in quanto sintomi di una posizione morale legata alla situazione, alla presenza di una precisa sofferenza.


La topica estetica

L'estetica in quest'ambito deve essere intesa come giudizio morale e spirituale.

Quanto più lo spettatore è lontano dall’infelice, tanto più si fa problematica l’azione a favore di esso.

Costretto all’inazione, lo spettatore è stimolato a manifestare un interesse che tenga conto della miseria di colui che osserva. E' indispensabile comunicare ad altri siffatto interesse, attraverso una descrizione che tenga conto non solo del dolore dell’infelice, ma anche delle sensazioni proprie nel vederlo.

In questa topica estetica, come nelle precedenti, lo spettatore avrà sempre l’obbligo di unire, in un unico enunciato, le sofferenze dell’infelice e lo stato in cui si trova chi le osserva.

Mentre la topica della denuncia e la topica del sentimento sono rivolte all’azione collettiva (la prima facendo della parola uno strumento di mobilitazione contro i fautori di disgrazie, la seconda un mezzo per radunare le buone volontà in vista di un aiuto benevolo), la topica estetica sembra rinunciare all’azione e si direbbe adatta soltanto ad ispirare una relazione puramente individuale con la sofferenza a distanza.

A differenza della topica della denuncia e della topica del sentimento, nella topica estetica la parola è essenzialmente affermativa.

La topica estetica ignora sia il persecutore che il benefattore, rifiutando la denuncia come il sentimento, l'indignazione, come la commozione, affermando solo principi di natura estetica.

Appelli all'azione indotta da immagini

La fotografia, oggetto di numerose e importanti analisi, quali quelle di Barthes e Bourdieu è opportuno ricordare che, secondo Susan Sontag, questa ha un’incisività maggiore rispetto alle immagini televisive e cinematografiche. Sontag ritiene che la memoria ricorre al fermo immagine; la sua unità di base è l’immagine singola.

Le diverse possibili rappresentazioni del dolore, precedentemente illustrate, indu-cono a riflettere sul rapporto tra immagini e azione.

In determinati momenti, si ha bisogno del pugno nello stomaco, che scuota l'indifferenza, perché c'è la tentazione di voltare lo sguardo, di far finta di credere che certe cose non accadono, anche se occorre equilibrio nel mostrarle.

Amnesty International non disdegna l'uso d'immagini di dolore, accompagnate da chiare didascalie esplicative, nella consapevolezza che la foto non è nulla senza la didascalia che dice cosa si deve leggere (Bourdieu).

L'immagine induce all'azione, a una politica della pietà che si sviluppa essenzial-mente con donazioni in denaro di singoli individui, attraverso la parola coraggiosa di gruppi di persone e una forte presa di coscienza, che nasce in noi, dall'osservazione d'immagini emblematiche.

L'obiettivo è di far giungere il messaggio, coinvolgere nel problema la gente e indurla a fare qualcosa, mediante appelli mirati che fanno leva sulla generosità, sul coinvol-gimento alla partecipazione, sull'azione umanitaria della donazione.

Questi messaggi hanno uno straordinario impatto, caratterizzato da:


1. immediatezza, grazie a titoli che vanno dall'ironia al sarcasmo.

2. stimolo all'azione, alimentando l'indignazione;

3. attacco al diniego: il problema non è solo ciò che accade, ma l'apatia, l'indifferenza, il diniego pubblico davanti a quello che tutti sanno e che non riguarda solo la gente comune, ma tutto il consorzio umano (Stati di negazione - Stanley Cohen).


Una struttura argomentativa che, per vincere l'indifferenza, deve basarsi sulla semplicità. Il messaggio deve creare una connessione fra quello che si deve sapere e quello che si deve fare.


Conclusioni

Se da un lato l’immagine può avere meritori effetti mobilitanti, dall’altro si deve tener conto del rischio di spettacolarizzazione più volte denunciato da Pierre Bourdieu, non indugiando troppo su immagini negative, ricorrendo quindi anche ad immagini positive che restituiscono fiducia nella concreta possibilità di un’azione impegnata, orientata da valori morali e, nello stesso tempo, stimolarla.

Nel suo libro Davanti al dolore degli altri, Susan Sontag, per quanto attiene alle immagini dell’orrore, insiste sulla necessità di rendere pubbliche tutte le foto recanti rappresentazioni di sofferenza e atrocità inflitte dagli uomini ai suoi simili, perché si prenda coscienza della tragicità dei fatti e da tale cognizione se ne tragga materia di profonda riflessione, rivalutando però alcune convinzioni, espresse nel suo prece-dente lavoro Sulla fotografia, realtà e immagine nella nostra società, riguardo allo shock che talune immagini ingenerano nell'osservatore, causa un presunto effetto di saturazione che ne potrebbe conseguire.

L’immagine serve per ricordare, la parola per capire, sostiene Susan Sontag. Grande quindi è la responsabilità di quanti, non solo nel campo del giornalismo, si servono d'immagini e parole per contrastare l’attuale crisi della pietà (Boltanski), strettamente connessa all'incertezza dell'azione da intraprendere, definita da Boltanski stesso: dilemma dello spettatore.


Fonti

Luc Boltanski - Sociologo francese

Roland Barthes - Saggista, Semiologo francese

Pierre Bourdieu - Sociologo e filosofo francese




STATI DI NEGAZIONE DI STANLEY COHEN


Analisi dell'opera


Stati di negazione è uno studio nel quale per la prima volta si indaga in profondità sul modo in cui singole persone e intere comunità evitano di confrontarsi con realtà scomode e dolorose, mostrando come e perché si mettono in atto meccanismi di dinie-go consapevoli o inconsapevoli.

Chiudere gli occhi, far finta di niente, sono alcuni modi di dire comuni che indicano l'incapacità o il rifiuto di prendere conoscenza della sofferenza, nostra e altrui. Noi tutti restiamo inerti di fronte alle immagini di dolore trasmesse ogni giorno dalla tele-visione. I governi negano le loro responsabilità nei tanti massacri e orrori commessi quotidianamente nel mondo, arrivando in taluni casi addirittura a negare tragedie di proporzioni immani come l'Olocausto.

Stanley Cohen, uno dei maggiori sociologi contemporanei analizzando il fenomeno della negazione del dolore, sostiene che le dichiarazioni di diniego siano affermazioni di fatti non accaduti, non esistenti, esponendo, riguardo alla loro veridicità, un ventaglio di possibilità, riconducibile a tre punti fondamentali:


1. Il primo è che il fatto, esista, sia vero ed esatto, ma il diniego è giustificato dalla condizione di non esserne stati messi a conoscenza.

2. Il secondo definisce la negazione come azione consapevole e intenzionale, voluta a scopi propagandistici che prevedono la disinformazione.

3. Il terzo, quella che riguarda la nostra tesi, è che il diniego può non dipendere dalla volontà di mentire intenzionalmente, ma attenga a uno stato mentale particolare che attiva un meccanismo di difesa per affrontare colpa, ansia ed altre inquietanti emozioni suscitate dalla realtà. Tale meccanismo di difesa è prodotto dall'inconscio che crea un ostacolo insormontabile al pensiero, perché questo non lambisca la consapevolezza della verità.

In tal senso il diniego diventa un atto di psicologia cognitiva e di decisionismo.



Fonti

Stanley Cohen - Sociologo sudafricano




LA FAME DI MARTIN CAPARROS


Analisi dell'opera


La fame ogni giorno uccide migliaia di persone. Nove milioni di persone l'anno muoiono d'inedia, il che per quantità numerica equivale a un olocausto e mezzo.

Niente, come la fame, è mai stato cosi letale o decisivo per la sopravvivenza del gene-re umano. Senza una politica di nutrizione appropriata sembra molto difficile rivolgersi ad altri problemi di portata mondiale come la distruzione ambientale, la sovrappopolazione, la disuguaglianza economica tra le classi sociale. Per rompere il silenzio su quest'obbrobrio, Martin Caparros ha scritto un libro-inchiesta intitolato La fame, che si snoda attraverso dialoghi, racconti, spaccati di vita, flash back di carattere storico e riferimenti letterari, raccolti in un suo viaggio attraverso vari continenti.

Ne La fame, si smascherano potentati economici e politici che usano la denutrizione come strumento di ricatto, considerando collaterale e accidentale che milioni di persone muoiano di fame e che, ancora oggi, un miliardo di esseri umani la patisca-no, denunciando come questo scomodo tema di primaria importanza sia manipolato dalla demagogia delle charity e da rockstar in cerca di auto promozione.

La fame non fa notizia. Fanno notizia le carestie, ma non le innumerevoli, quotidiane morti silenziose per fame e non rendersene conto è facile, perché non si tratta di un evento, ma di qualcosa che accade tutti i giorni, che rientra nella norma. Si pensa che la fame in Occidente sia una questione risolta, ma ci si sta purtroppo accorgendo che non è così, perché la crisi economica mondiale di questi ultimi anni ha fatto prepotentemente riemergere il problema, elevandolo a tema politico, mentre prima rientrava nel novero delle questioni umanitarie. Disgraziatamente, anche la religione specula sulle persone che soffrono la fame, offrendo un sicuro rifugio nella fede che aiuta a sopportarla. Nel libro si cita una frase, che Madre Teresa di Calcutta, Premio Nobel per la pace nel 1997, ha ripetuto parecchie volte: "E' bellissimo vedere i poveri che accettano la loro sorte, che la subiscono come la passione di Gesù Cristo. La loro sofferenza è di grande aiuto per il mondo". Questo incoraggiamento alla rassegnazione è del tutto inaccettabile. Restare poveri, morire di fame, rassegnarsi è bene perché la ricompensa è nell’aldilà. Questo è ciò che la religione vorrebbe imporci di pensare.

E anche se Madre Teresa ha fondato molti conventi nel mondo, non ha costruito alcun ospedale. Nei suoi moritori non offriva alcuna attenzione medica alle persone malate raccolte per strada, anzi quelle persone morivano di patologie per le quali da anni non si muore più. E questo accadeva per la sua ideologia. Ciò che era importante per lei, era morire bene, non vivere bene. Spaventoso! Madre Teresa usava l’aura di santità per condurre le sue campagne, come la lotta contro l’aborto e la contrac-cezione, ricevendo fiumi di premi, donazioni, sovvenzioni per le sue imprese reli-giose, senza mai rendere pubblici i conti della sua impresa.

Nell’ultima parte del libro si parla della dura realtà del Bangladesh, ma anche degli effetti di un certo neoliberismo, secondo cui vi sarebbe un interesse economico nel mantenere situazioni di fame, anche se, di fatto, non c’è un preciso interesse econo-mico nel mantenerla ovunque. In molti casi, nella maggioranza, la fame è un effetto collaterale. Non è nemmeno una situazione che si è cercata. Semplicemente accade, senza che nessuno ci badi e questo è ancora più spaventoso. Se speculando, sul prezzo del mais, milioni di persone soffriranno la fame, non ci si fa caso. Questo è un aspetto secondario. Ci sono addirittura situazioni in cui la fame è finalizzata a uno scopo preciso, come nel Bangladesh. Laggiù, è lo spauracchio della fame a far accettare alle donne un lavoro di dieci ore giornaliere per sei giorni la settimana, a soli venti euro il mese. Non si può, né si deve far finta di niente.


Fonti

Martin Caparros - Scrittore e giornalista argentino Neoliberismo - Teoria sociale ed economica fondata sui principi del libero scambio nella politica economica nazionale e internazionale, con la massima riduzione dell'intervento dello Stato. E' associato al libero mercato e al capitalismo.




INTERPRETAZIONE DEI TESTI ANALIZZATI


I documenti di testo analizzati, nella disamina critica degli elementi che li compongono, hanno evidenziato come un problema, posto all'attenzione del pubblico, possa essere recepito in maniere diverse. L'esposizione scritta dei soggetti in esame, con-duce a interpretazioni che, secondo il metodo di lettura, assumono valori differenti, a volte anche contrapposti.

Nel caso specifico, trattandosi di argomentazioni che, per loro intrinseca natura hanno uno sfondo allarmistico, il lettore percepisce immediatamente il segnale inviato, che è quello della minaccia riguardo a una particolare situazione. Questo è un punto fermo, ma nel prosieguo delle emotività che ne scaturiscono, l'atteggiamento nascente dalla presa di coscienza del fatto, da univoco, quale dovrebbe essere nell'intenzione di chi ha lanciato l'appello di minaccia, si sbriciola in una molteplicità di atteggiamenti plausibili, nessuno dei quali, può definirsi errato o giusto. Una frase, si è visto come, dopo il primario effetto d'indignazione per la mi-naccia paventata, possono entrare nella sfera dell'interesse e pertanto condurre a sollecitazioni di carattere pietistico, avviare un meccanismo di controllo del pericolo, dare luogo a sentimenti di solidarietà, oppure, pur allarmando, non produrre quegli effetti di appartenenza al problema, perché non recepito soggettivamente, ma considerato solo in sede altruistica, o ingenerare, per saturazione (Sontag) soltanto indifferenza, o peggio ancora produrre uno stato psicologico di negazione (Cohen), con conseguente diniego automatico del problema stesso e delle problematiche inerenti.

La minaccia innesca un processo cognitivo che a sua volta determina un criterio di valutazione che può essere di accoglimento o di rifiuto del pericolo riguardante, per cui si soppeserà un sistema di costi-benefici, secondo cui ci si potrà impegnare, nei confronti del pericolo, in azioni di fronteggiamento, mettendo in atto meccanismi di difesa, se la bilancia peserà più verso i benefici, oppure essere spinti verso l'inat-titudine, se si riterrà che i sacrifici siano più onerosi dei costi, cioè delle privazioni che il fronteggiamento comporta (Rogers). Nella parte del suo libro Lo spettacolo del dolore, che tratta della politica della pietà, Boltanski enuncia che lo spettatore, nella sua personale valutazione della minaccia, assimilandosi alla condizione dell'infelice, si senta obbligato ad agire, non solamente spinto dallo spettacolo del dolore, ma anche e soprattutto dalla propria coscienza.

Appare quindi determinante, nella scelta dei comportamenti, il supporto del processo cognitivo.




ANALISI DELLE FOTOGRAFIE


Susan Sontag, che nel nostro lavoro è uno degli Intellettuali di riferimento, ha detto che una fotografia è simile a una citazione, a una massima o a un proverbio.

Il supporto della fotografia nell'informazione è essenziale. Le fotografie forniscono un modo rapido per apprendere e allo stesso tempo rappresentano una forma compatta per memorizzare.

La famosa frase un'immagine vale più di mille parole sembra sia stata pronunciata da Mao Tse-tung e lui di comunicazione se ne intendeva. Noi non possiamo non es-sere in accordo con questo assioma, anche se riteniamo che, per una corretta e giusta informazione, siano necessarie anche delle parole che esplichino, senza possibilità di fraintendimenti, l'immagine proposta.

Perché le immagini hanno questa grande importanza? Perché esse ci legano emoti-vamente alla sensazione che esprimono. Perché il loro linguaggio è internazionale e non ha bisogno di traduzioni. Le fotografie rappresentano l'esperanto della comunica-zione. Hanno il potere di scatenare nel nostro spirito sentimenti di diversa natura, creando empatia tra l'osservatore e quello che riproducono. Inoltre, oltrepassando la rappresentazione figurativa, contengono messaggi che essenzialmente possono essere espliciti, indiretti, subliminali, ma la loro connotazione non necessariamente fa sì che un tipo di messaggio escluda l'altro e pertanto una fotografia può contenere più messaggi al suo interno, andando a stimolare psicologicamente i nostri ricettori cognitivi consci e inconsci.


Raffrontando le fotografie I e II, con le fotografie III e IV, si nota subito quanto due gruppi di foto si distinguano. Il primo gruppo ricorre direttamente al fear-appeal, attivando quei meccanismi che ne discendono, quali, la minaccia, l'indignazione, la consapevolezza del pericolo. Il secondo gruppo invece va oltre la mera minaccia e ci indirizza verso azioni di fronteggiamento, come la profilassi e la solidarietà. Nel secondo gruppo si è fatto un passo avanti rispetto al primo, si esce dalla speculazione semantica del problema e si entra nella fase di pragmatismo risolutivo.

Infine con le fotografie V e VI si entra in un'ulteriore fase: quella della speranza.

La speranza, intesa in senso generale come possibilità di miglioramento, è la condizione essenziale perché una campagna di sensibilizzazione dia risultati concreti. La fotografia IV ci mostra una famiglia dove appare un padre sieropositivo, circondato dalla moglie e dai figli sieronegativi. Ci dice che il virus HIV, non necessariamente comporta l'AIDS e che si può vivere in un contesto privo di pericolo per chi ci sta intorno. Pensiamo che sia una foto bellissima e densa di significato, perché esprime la possibilità per tutti i sieropositivi di avere una vita normale, emarginando la discriminazione. Ci fa guardare al futuro con grande serenità. La fotografia VI, anch'essa all'insegna della speranza, comunica che dalla fame esiste via d'uscita attraverso il lavoro, la cooperazione.

Le fotografie sopra esposte, prescindendo dal loro valore artistico, nei rispettivi ambiti (AIDS e fame), lette in sequenza, costituisco la pienezza della campagna di sensibilizzazione.


Foto I - Denuncia della malattia, e conseguenze - AIDS

Foto II - Denuncia della situazione e conseguenze - FAME

Foto III - Profilassi e contrasto - AIDS

Foto IV - Solidarietà - AIDS

Foto V - Speranza di miglioramento, aiuti economici - FAME

Foto VI - Azione di contrasto, speranza - FAME


Partendo dalle prime immagini di fear-appeal che incutono terrore si passa alle seconde che indicano una via di salvezza, per giungere alle ultime che rappresentano come si possa vivere in determinato status senza perdere la speranza di miglioramento

L'elemosina risolve solo un momento. Il lavoro risolve l'intera esistenza e dona dignità.



Bibliografia


Luc Boltanski - Lo spettacolo del dolore - 2000

Susan Sontag - La malattia come metafora: Cancro e AIDS

Ronald W. Rogers - Teoria della motivazione alla protezione - 1975 - 1983

Stanley Cohen - Stati di negazione - La rimozione del dolore nella società contemporanea - 2002

Martin Caparros - La fame - 2015

Kary Mullis - Articolo sull'AIDS













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