Persuasione ideologica e satira nella fotografia, attraverso l'alterazione pre-photoshop
- Belisario Righi
- 28 mar 2021
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 11 mar
DI CARLOTTA RIGHI
John Heartfield - "Die drei Weisen aus dem Sorgenland" - 1935
La fotografia analogica, prima del lancio sul mercato di Photoshop, avvenuto nel 1990, per quanto riguarda i metodi di manipolazione, ha potuto contare su tecniche di contraffazione sia in ripresa, servendosi di esposizioni multiple, di filtri che modificano la composizione fotografica e la resa cromatica, sia in stampa, utilizzando tecniche di fotomontaggio, retini, nonché carte rapide e ipersensibili che creando contrasti forti e audaci, eliminano le tonalità intermedie. In queste poche righe, sommariamente si tenterà di studiare le implicazioni della manipolazione fotografica nell'ambito sociale, in rapporto all'utilizzo e altresì dimostrare in maniera sintetica e relativamente compiuta che la fotografia non è una scienza esatta, tantomeno una disciplina dogmatica, dove le leggi e le regolamentazioni sono rigide e invalicabili, ed evidenziare che la fotografia, sia soprattutto dotata di grande flessibilità pragmatica e deontologica, documentando come la realizzazione d'immagini fotografiche presupponga spesso, perché legata all'interpretazione del fotografo, delle falsità realistiche. Il grande maestro della fotografia Andreas Feininger, negli anni '70, nei suoi libri La nuova tecnica della fotografia e La nuova tecnica della fotografia a colori, affermava che tutte le foto sono delle bugie. Perché? Consideriamo, ad esempio, un paesaggio e trasformiamone la prospettiva, adottando un determinato obiettivo e riduciamo il campo di ripresa, attraverso il taglio fotografico. Proseguiamo quindi con l'alterazione delle luci e dei colori, e perché no, aggiungiamo o eliminiamo alcuni particolari. Alla fine ciò che risulterà sembrerà la realtà, ma solo in un’interpretazione personale, addirittura forse anche molto lontana. Del resto, al di là della manipolazione, il mondo che sembra oggettivamente esistere, viene decodificato dall’occhio umano e registrato in una fotografia, senza tener conto che di tutte le frequenze della luce, lo spettro visivo ricopre solamente una ristretta gamma, che possiamo appena un poco accrescere adottando film all'infrarosso. Ecco pertanto che, come sosteneva Feininger, la fotografia è semplicemente un’interpretazione della realtà, che deve necessariamente essere oltrepassata nel tentativo di un raggiungimento di finalità ben precise, per una maggiore comprensione di problemi comportamentali, educativi e sociali, perché l'uomo "a differenza di qualsiasi altra cosa organica o inorganica nell'universo, cresce oltre il suo lavoro, sale le scale del suo concetto, emerge prima delle sue realizzazioni ". (Furore - John Steinbeck). La disamina di reperti fotografici atti a definire gli obiettivi prefissati è complessa, poiché molteplici sono gli esempi di artefazione e manipolazione della fotografia analogica. La manipolazione fotografica è un fenomeno molto in voga nell'era digitale e, come afferma Mia Fineman nel suo Faking it, è interessante sapere che quasi ogni tipo di manipolazione esistente nei tempi moderni, già si usava nel nell'era pre-digitale della fotografia, prima dell'avvento di Photoshop. Soltanto i metodi sono cambiati e soprattutto sono diverse e ben distinte le finalità che hanno spinto i fotografi a tali mistificazioni. Partendo dall'asserzione che un'immagine vale più di mille parole, si cercherà di dimostrare attraverso lo studio e l'osservazione di alcune fotografie prese in esame, nelle quali la contraffazione, a volte occulta altre volte ostentata, quanto peso e valore abbia avuto nell'immaginario collettivo e quanto sia stata di asservimento all'enunciazione di ideologie. George Orwell nel suo distopico romanzo 1984, descrive come in un Paese dal regime totalitario si cerchi di modificare la storia, riscrivendola, inserendovi fatti e personaggi mai esistiti, al fine di dare un'immagine di efficienza e perfezione del modello politico adottato, conferendo in tal modo al passato elementi che giustifi-chino il presente. Orbene, la storia ci ha lasciato testimonianze che ampiamente denotano l'uso di questa pratica, come la fotografia del 1922 che ritrae, a Gorky, Stalin e Lenin sorridenti, amichevolmente seduti l'uno accanto all'altro. La fotografia appare troppo "ripulita". Senza dubbio ha subito dei ritocchi.
Autore anonimo - Lenin e Stalin -1922 -1923 - Nella casa di cura di Gorky
Gli archivi fotografici infatti presentano un'altra fotografia, scattata nella medesima circostanza che sebbene molto simile a quella diffusa, non mostra i due politici ritratti in amichevoli e sorridenti espressioni e lo sfondo diverso da quella precedente, denuncia chiaramente un rimaneggiamento dell'immagine.
Foto di Lenin e Stalin manipolata
A conferma, dello stesso anno è il celebre testamento politico di Lenin, documento importante per la storia del movimento comunista, in cui si sostiene la necessità della rimozione di Stalin dalla sua carica di segretario generale del partito. Si pensa quindi che la foto fu ritoccata per ufficializzare una profonda intesa e consacrare la successione staliniana alla guida del Partito Comunista. L'immagine fece il giro del mondo e la celebrazione di Stalin, quale capo assoluto del Partito bolscevico, con la benedizione di Lenin, fu universalmente accettata. Nel caso specifico, la manipolazione è subdola e insinuante, perché tende a rappresentare una realtà inesistente e assolutamente contraria alla verità, per usare l'istantanea a scopo propagandistico. Con finalità del tutto diverse è stata eseguita, frutto di felici fotomontaggi, la manipolazione fotografica nell'immagine del 1935 del fotografo John Heartfield, intitolata: "Die drei Weisen aus dem Sorgenland".
John Heartfield - "Die drei Weisen aus dem Sorgenland" - 1935
In questo caso l'intento è quello di deridere il Governo tedesco ed è visibilmente manifesta la manipolazione.
Il fotografo intese ironizzare sull'assurda visione del mondo nazista, riducendo Goebbels, Goering e Hitler a tre caricature, in instabile equilibrio su di una corda che viene rosicchiata da un grosso topo, sì da denotare la precarietà del Reich, governato dai tre improbabili funamboli.
A conclusione si dirà che la fotografia in sé non ha doti di verità, bensì quest'ultime si realizzano quando negli intenti del fotografo esiste la volontà di rappresentare la realtà nella sua più intima ed intrinseca essenza. Esiste invece sempre presente nel fotografo, ancorché latente, il desiderio di dare un'impronta personale al suo lavoro, in maniera da potersene servire per finalità che prescindono dal mero significato dello scatto in sé.
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