La cattiveria
- Belisario Righi
- 28 gen 2021
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 11 mar
DI BELISARIO RIGHI
La cattiveria
La cattiveria secondo l’Enciclopedia Italiana Treccani è così definita: l’essere cattivo, malignità, indole cattiva, malizia.
Secondo l’autorevole fonte Treccani il termine deriva da cattivo: dal latino captivus «prigioniero», a sua volta derivante da capere «prendere».
Il significato odierno ha avuto origine dalla locuzione del latino cristiano captivus diaboli «prigioniero del diavolo».
In latino però captivus può anche significare misero o meschino, condizione discendente dallo stato d’animo d’esser prigioniero. In questo senso la cattiveria non ha niente a che vedere con l’avere indole maligna.
Come si può notare tanti e diversi sono i significati della parola, ma per noi cattiveria è termine sconcertante che evoca le più turpi azioni e i più esecrabili sentimenti. Sentimento o stato d’animo, condizione o situazione, comunque entità che richiama al male e che di questo si pasce.
Nella letteratura la cattiveria è sempre stata la madre di comportamenti disdicevoli e condannabili dall’umanità, al punto di significarne la strada della dannazione, la strada che porta diritta all’inferno.
Nei secoli è sempre stata considerata il peggiore di tutti i moti spirituali, perché in essa si condensano le più basse aspirazioni, le più disumane attitudini sociali.
E’ in essa e negli atti che ne derivano, che si identificano i peggiori criminali, iconoclasti dell’effigie cristiana e dissacratori del perbenismo, anche se quest'ultimo, spesso ipocrita e farisaico, attinge a piene mani dalla credulità umana.
La cattiveria è altresì antitesi alla bontà intesa come accettazione della cattiveria stessa, simboleggiata dal cristianesimo quale propensione a porgere l’altra guancia, con assoluta acquiescenza e dedizione alla dottrina evangelica, secondo cui il soffrire e il patire si dice siano i giusti viatici per il Paradiso, eterno ed irraggiungibile miraggio delle masse sottomesse, le quali nel suo raggiungimento trovano il riscatto a tutte le angherie e ai soprusi consumati sulla loro pelle, dimentiche però ahimé della condizione di prostrazione ed annichilimento in cui sono sprofondate, in ossequio
all' asservimento di una legge che promette cose meravigliose in un altro mondo. Nietzsche docet!
Tutti ci credono, almeno i più. E anch’io voglio crederci, perché se questo non fosse vero, la vita intera sarebbe, non solo sprecata, ma soprattutto dileggiata da un’ipotesi irrealizzabile.
Ma la cattiveria, nel senso più ampio del suo significato, esteso al comportamento verso il prossimo, non sempre è da intendersi nella sua cruda specificità.
Essa spesso diventa un’arma contro la sopraffazione degli istinti, che inducono ad atteggiamenti caritatevoli e pietistici, misconoscendo le intime prerogative e soprattutto le proprie individualistiche esigenze, nell’osservanza di una legge sociale superiore, per la quale “si dovrebbe pensare più a far del bene che a star bene e così si finirebbe anche con lo star meglio” (A. Manzoni).
Una volta anch’io la pensavo così e questa frase del Manzoni, rappresentò la mia personale folgorazione sulla via di Damasco. Ma la vita, purtroppo mi ha troppe volte contraddetto.
Troppe volte le azioni umane mi hanno mostrato un mondo diverso, molto diverso, da quello indicato dal grande Poeta.
Forse lui aveva ragione. Forse lui era in odore di santità e sembrerebbe questa tesi essere avvalorata dal fatto che, dopo cent’anni dalla sua morte, la sua salma fu riesumata e all’apertura della bara, il corpo del Poeta apparve integro, intatto, come fosse stato sepolto quel giorno stesso.
Il tempo aveva, fino a quel momento, risparmiato il corpo del Drammaturgo dalla decomposizione e questo per la moltitudine sembrò essere un miracolo, un riconoscimento di santità.
Forse. Sarà anche così, ma io non ci credo. E non per scetticismo tout court, ma solo perché mi sembra del tutto irrilevante che il corpo del Manzoni abbia potuto resistere alla disgregazione per cento anni, solo cento anni. L’eternità è altra cosa!
Ma allora Manzoni, non era un santo? E chi se ne importa di cosa sia stato Alessandro Manzoni. E soprattutto che mi rappresenta il suo romanzo infarcito di bontà, dove, persino di fronte alla peste, i buoni sopravvivono e i cattivi muoiono.
La cattiveria è sempre punita, mentre la bontà viene sempre premiata.
Questo universalmente è il senso della cattiveria e della sua antitesi che è la bontà.
Ma come può accadere allora che nel Mali o in Etiopia, ogni giorno vi siano migliaia di bambini, creature innocenti che muoiono di fame e peggio ancora di sete?
Di sete! Non hanno acqua. Incredibile, ma è così! Forse quei bambini non sono buoni?
I telegiornali delle tutte le televisioni mondiali ci propongono quotidianamente questo atroce problema.
Dall’altra parte dell’oceano Atlantico c’è un'altra realtà: l’America, gli Stati Uniti, dove uno dei problemi sociali più grandi è costituito dall’obesità dei bambini. Bambini grassi, nutriti oltre misura, che hanno problemi di ipertensione arteriosa, perché affetti da ipercolesterolemia, che presentano forme incipienti di diabete, perché mangiano troppi dolciumi. Bambini che mangiano troppo, in America e bambini che neanche possono bere, in Africa.
Questo è il mondo!
Forse i concetti fondamentali del vivere hanno diverse interpretazioni, a seconda della latitudine? Forse la verità non è unica e sola, ma dipende piuttosto dalle convenzioni sociali? Triste cosa sarebbe se ciò rappresentasse il vero, perché saremmo tutti preda di sicofanti ed ipocriti arconti.
E allora dov’è la cattiveria e soprattutto “se sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine?” Dubbio amletico di difficile risoluzione.
In questa terribile domanda, si perde di vista la bontà cristiana e ci si indirizza soprattutto verso una risoluzione del problema, in termini pratici che soprassiedono al “porgere l’altra guancia” e attengono più a comportamenti difensivi, e in questo non c’è cattiveria, c’è soltanto la necessità di attuare una difesa contro le avversità del mondo, che rappresentano nella loro complessità una panoplia malefica e distruttiva, la vera cattiveria.
Esiste inoltre un’altra lettura della cosiddetta cattiveria. Quella che rientra nella concezione centripeta dell’uomo, considerato come centro indiscusso dell’universo, ove tutto converge in lui.
La Bibbia avvalora la tesi che l’uomo sia al centro di tutto, essendo egli fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Su questa ipotesi, accettata come dogma dal mondo antico cristiano, l’intero universo gira intorno alla terra e quindi intorno all’uomo che ne è il rappresentate di maggior spicco e pertanto la preminenza dell’uomo su tutto è scontata. E allora, se in ottemperanza a tale concetto si prevaricano le umane leggi della convivenza e ci si arroga il diritto di farle osservare a qualunque costo, questa non è forse cattiveria?
Non c’era cattiveria nelle sante crociate, ove per portare il Verbo presso gli infedeli, si uccideva e si commettevano le più turpi scempiaggini?
Le crociate non ci ricordano le odierne stragi compiute nel nome di Allah da parte dei musulmani fondamentalisti, per imporre la loro dottrina presso gli infedeli?
Ma mentre nella nostra cultura cristiana riteniamo giuste le crociate, consideriamo esecrabili i comportamenti violenti del Jihad, la guerra santa dei musulmani.
Qual è la giusta interpretazione di questi concetti e soprattutto, su quali basi morali devono essere soppesati?
Sono giuste le Crociate, ma non è giusto il Jihad?
Ridicolo, solo pensarlo, eppure la nostra cultura occidentale si muove in questo senso.
E allora, dove sta la verità? Ma soprattutto, dove sta la cattiveria?
Non esiste la cattiveria! Esiste l’uomo e con lui i suoi comportamenti, che prima di tutto rispondono a impulsi spinali, come negli animali posti più in basso nella scala evolutiva, che pur privi di intelletto, agiscono secondo istinti dettati dalla loro natura. Ma riguardo agli animali, non si parla mai di cattiveria, si parla solo di leggi naturali. Eppure certi comportanti del mondo animale, che non ci mettono in allarme, perché naturalmente consequenziali, quando sono adottati dall’uomo, fanno gridare di rabbia e sono considerati cattivi.
E allora se non è necessario avere un’anima per compiere determinate azioni, perché dovremmo, noi esseri umani ritenerci cattivi, se agiamo nello stesso modo?
Non rispondiamo noi stessi ai medesimi richiami?
Quando però entra in gioco l’anima, che è l’elemento discriminante tra le bestie e l’essere umano, i discorsi si complicano e si passa dalla realtà alla filosofia, che sebbene indicata come amore per la saggezza, spesso altro non è che il modo più elegante per mascherare, con sofismi e speculazioni cervellotiche, l’impossibilità di costruire una tesi attraverso spiegazioni concrete di facile interpretazione.
La cattiveria in questo senso diventa solo una mera e soggettiva convenzione, consumata su fondamenti individualistici, avvalorati troppo spesso da riferimenti ermeneutici, i quali sfuggono per la loro complessità al comune essere umano, che dovrà necessariamente adagiarsi sulle posizioni raggiunte da dotti umanisti, accettandone la definizione data, come universale.
Però, attenzione! Perché a voler trasformare l’uomo in un angelo, il più delle volte lo si trasforma in un demonio.
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