La grande beffa - Evviva il '68!
- Belisario Righi
- 4 giu 2021
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 11 mar
DI BELISARIO RIGHI
Nel 1968 avevo ventitré anni e studiavo al Politecnico di Torino, Ateneo molto impegnativo che non lasciava molto spazio per il tempo libero, e noi futuri ingegneri, quelle poche ore di libertà, ce le godevamo tutte, così tra gli studenti di Ingegneria, non ci furono soggetti che partendo dalle agitazioni di Facoltà, arrivarono al mondo della politica, contrariamente a quanto avvenne per gli studenti di Legge o Scienze Politiche, che di tempo ne avevano anche troppo. Nacquero i contestatori, elementi prodromici di un’ideologia politica che sfociò nella contestazione di massa, con cui furono messi in discussione tutti i valori sociali e dello Stato, che sino ad allora avevano segnato il cammino delle nostre democrazie. Il movimento di contestazione di massa, che già da tempo era latente tra gli intellettuali europei, prese un significativo avvio in Francia a seguito di un piano di riforma scolastica che prevedeva una ferrea selezione per le iscrizioni universitarie, colpendo gli studenti nel loro inalienabile diritto allo studio, senza discriminazioni, con la motivazione di formare dei tecnici altamente specializzati. L’approvazione di questo progetto, chiamato piano Fouchet, provocò un’ondata di protesta delle masse studentesche che si allargò al punto di diventare un vero e proprio movimento politico, contro l’oppressione subita dagli studenti e dagli operai da parte dello Stato. Capo indiscusso del movimento fu il giovane anarchico, Daniel Cohn-Bendit.
Daniel Cohn-Bendit
In Germania Ovest il leader più significativo del movimento di contestazione fu Rudi Dutschke, esponente dell’SDS (organizzazione degli studenti socialdemocratici tedeschi).
Rudi Dutschke
In Italia, molti furono gli esponenti del movimento di contestazione. Tra i nomi più significativi ricordiamo: Guido Viale a Torino, Toni Negri a Padova, Franco Piperno e Oreste Scalzone a Roma, Adriano Sofri a Pisa, Mario Capanna a Milano.
Mario Capanna - a sinistra con il pugno chiuso
Dietro la forte spinta della contestazione, divenuta ormai di portata internazionale, caddero uno ad uno tutti gli stereotipi sociali, sotto l’accusa di elitarismo e prevaricazione. Si contestò, in primis, il mondo dell’Istruzione, additandolo come obsoleto e non più confacente al nuovo imperativo liberista che si andava diffondendo.
Studenti in corteo contro le Istituzioni della Scuola
Il movimento, inizialmente appannaggio esclusivo di intellettuali, si allargò sempre più sino a diventare globale e ogni Istituzione sociale, ogni valore civico furono messi in discussione. Il mondo del lavoro fu, fra tutti, il più grande palcoscenico del teatro irridentista e rivoluzionario. Si disse di voler dare una dignità nuova ai lavoratori, considerati vittime di un regime monopolistico e plutocratico, dove venivano soffocati i loro più elementari diritti.
Potere Operaio
Marx ed Engels divennero le Muse ispiratrici di uno tsunami ideologico, che modulato sugli aforismi del Libretto Rosso di Mao, già strumento semplice ed efficace per la rivoluzione culturale cinese, portò la contestazione talmente a sinistra, che per la prima volta, dopo la seconda guerra mondiale, si pensò che si sarebbe inevitabilmente arrivati ad una adesione al Comunismo su scala mondiale.
Mao e la rivoluzione culturale
Mao Tse-tung insieme a Lenin ideologo rivoluzionario, politico russo, in seguito sovietico e Che Guevara, guerrigliero e membro del Movimento rivoluzionario cubano, furono le icone della contestazione sessantottina.
Lenin e Che Guevara eroi ideologici del '68
La sinistra, con i suoi slogan, imperava. I sindacati rossi facevano proselitismo, come mai era accaduto. Tutti erano diventati comunisti o almeno strizzavano l’occhio a sinistra e in quest’ottica sinistrorsa ogni tassello della società era confutato. I titolari di cattedre universitarie, i capitani d’industria, gli alti graduati delle Forze militari, i Prelati, i Primari degli ospedali, tutti quelli che comandavano erano chiamati baroni.
Fuori i Baroni
Il baronismo divenne l’argomento dei comizi, delle riunioni improvvisate e tutti speravano che il mondo finalmente potesse cambiare. Persino le donne accusarono gli uomini di baronismo e pretesero l’uguaglianza di diritti e di comportamenti.
Le mogli e le fidanzate iniziarono a mettere in discussione il ruolo, che per secoli ave-vano avuto. Non dovevano essere più assoggettate a una rigorosa disciplina maschi-lista.
Movimento di emancipazione femminista
Non volevano più occuparsi come madri e mogli della conduzione della famiglia, volevano entrare nella stanza dei bottoni e in poco tempo, una fiumana di donne di casa, sposate e non, si trasformò in una nuova forza lavoratrice. La donna doveva avere gli stessi diritti dell’uomo, persino nella sfera sessuale.
L’uomo nell’accezione universale del termine, da sempre, ha potuto avere più donne e spargere la sua virilità a destra e a manca. Anche la donna volle questo e da quel momento una schiera inferocita di donne represse cominciò a fare l’amore con una tale disinvoltura che, sulle prime, gli stessi uomini anziché rallegrarsene, come poi avvenne in seguito, ne furono disorientati.
Utopia del femminismo
Il ’68 sembrava dover portare il mondo verso un nuovo mattino e la contestazione generale sessantottina, doveva rappresentarne l’aurora boreale, drammatica e densa di fosche tinte. Poi, superato il parossismo dell’iniziazione, i nuovi sindacalisti s'insediarono nel posto dei vecchi, i nuovi docenti si avvicendarono ai vecchi Professori, i giovani universitari, politicamente impegnati, divennero deputati al Parlamento. Gli operai ebbero qualche piccola rivincita sui padroni, gli studenti sui Professori, le donne ebbero finalmente tanti amanti e ogni sottoposto guadagnò una piccola parte di terreno sul proprio Comandante, ma queste conquiste furono poca cosa, perché, di fatto, nulla cambiò. Il padrone restò tale, il Comandante addirittura fu promosso di grado, i vecchi cattedratici diventarono luminari e le donne divennero ragazze madri, conquistando così nella società la parità dei diritti con l’uomo, almeno sul piano sessuale. E’ stata la beffa più grande che la società abbia mai subito e se a Woodstock si gridava vogliamo l’amore, non la guerra, apostrofando Nixon con ogni epiteto, da guerrafondaio ad assassino per aver mandato i soldati americani a morire in Vietnam.
Giovani studenti americani che chiedono il ritiro delle truppe USA dal Vietnam
Oggi si combatte in Iraq, in Siria, in Libia, in Corea, in Liberia e non si sa in quante altre parti del mondo. Ormai la vita è diventata sempre più inaccessibile al proletariato, che nel frattempo è stato declassato a sottoproletariato, la disoccupazione è ai massimi livelli storici, le multinazionali sono sempre più potenti e straricche, mentre in alcune parti del mondo c’è gente che muore di sete. Persino l’acqua, per alcune popolazioni è diventata un lusso irraggiungibile. Nessun commento può esprimere il fallimento sociale del '68 meglio che tutto deve cambiare perché tutto resti come prima, la famosa frase di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e allora...evviva il 68!
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